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barba e raccontava ogni cosa com’era stata, parola per parola.
— I minchioni! — sentenziava lo speziale. — Vedete chi si lascia prendere? i minchioni!
— Sarà un affare brutto! — aggiungeva don Silvestro; — la galera non gliela levano nemmeno col rasoio.
E don Giammaria andava a dirgli sul mostaccio: — In galera non ci vanno quelli che dovrebbero andarci!
— Sicuro! non ci vanno! — rispondeva don Silvestro colla faccia tosta.
— Al giorno d’oggi, — aggiungeva padron Cipolla, giallo dalla bile, — i veri ladri vi rubano il fatto vostro di mezzogiorno, e in mezzo alla piazza. Vi si ficcano in casa, per forza, senza rompere nè porte nè finestre.
— Come voleva fare in casa mia ’Ntoni Malavoglia, — aggiungeva la Zuppidda, venendo a filare la sua canapa nel crocchio.
— Io te l’ho sempre detto, pace degli angeli! — cominciava suo marito.
— Voi state zitto, che non sapete niente! Guardate che giornata sarebbe venuta adesso per mia figlia Barbara, se non stavo all’erta!
Sua figlia Barbara stava alla finestra, per vedere passare fra gli sbirri ’Ntoni di padron ’Ntoni quando l’avrebbero portato alla città.
— Di là non n’esce più — dicevano tutti. — Sapete cosa c’è scritto alla Vicaria di Palermo? «Corri quanto vuoi che qui t’aspetto!» e «il malo ferro se lo mangia la mola». Poveri diavoli!