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col pretesto d’andare a pescare, e arraffavano la biancheria messa ad asciugare, se capitava. Alla povera Nunziata le avevano rubato in quel modo un lenzuolo nuovo. Povera ragazza! rubare a lei che lavorava per dar pane a tutti quei fratellini che suo padre le aveva lasciato sulle spalle, quando l’aveva piantata per andare a cercar fortuna ad Alessandria d’Egitto! — Nunziata era come la cugina Anna, quando l’era morto il marito, e le aveva lasciato quella nidiata di figliuoli, che Rocco, il più grandicello, non le arrivava alle ginocchia. Poi alla cugina Anna le era toccato di tirar su quel fanciullone per vederselo rubare dalla Mangiacarrubbe.
In mezzo a quel chiacchierìo saltò su la Zuppidda, la moglie di mastro Bastiano il calafato, la quale stava in fondo alla straduccia, e compariva sempre all’improvviso, per dire la sua come il diavolo nella litania, chè nessuno s’accorgeva di dove fosse sbucata.
— Del resto, — venne a brontolare, — vostro figlio Rocco non vi ha aiutata neppur lui, chè se si è buscato un soldo è andato subito a berlo all’osteria.
La Zuppidda sapeva tutto quello che succedeva in paese e per questo raccontavano che andava tutto il giorno in giro a piedi scalzi, a far la spia, col pretesto del suo fuso, che lo teneva sempre in aria perchè non frullasse sui sassi. Ella diceva sempre la verità come il santo evangelio, questo era il suo vizio, e perciò la gente che non amava sentirsela cantare, l’accusava di essere una lingua d’inferno, di quelle che lasciano la bava. — «Bocca amara sputa fiele»; ed ella ci aveva la bocca amara davvero per