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— No! È don Michele che mi vuole male, te l’ho detto. Sta sempre a macchinar birbonate contro di me collo zio Santoro. Li ho sentiti io nella bottega di Pizzuto, che lo sbirro gli diceva: — E se tornassi da vostra figlia, che figuraccia ci farei? — E lo zio Santoro rispondeva: — Oh bella! se vi dico che tutto il paese si mangerebbe i gomiti dall’invidia!

— Ma tu cosa vuoi fare? — ripeteva Mena colla faccia pallida. — Pensa alla mamma, ’Ntoni, e pensa a noi che non abbiamo più nessuno!

— Niente! Voglio svergognare lui e la Santuzza davanti a tutto il paese, quando vanno alla messa! Voglio dir loro il fatto mio, e far ridere la gente. Già non ho paura di nessuno al mondo; e mi sentirà anche lo speziale lì vicino.

Mena infatti aveva un bel piangere e un bel pregare, egli tornava a dire che non aveva nulla da perdere, e dovevano pensarci gli altri più di lui; che era stanco di fare quella vita, e voleva finirla — come diceva don Franco. E siccome all’osteria lo vedevano di malocchio, andava a girandolare per la piazza, specialmente la domenica, e si metteva sugli scalini della chiesa per vedere che faccia facevano quei svergognati che venivano lì a gabbare il mondo, e far le corna al Signore e alla Madonna sotto i loro occhi stessi.

La Santuzza, dacchè incontrava ’Ntoni che faceva la sentinella sulla porta della chiesa, se ne andava ad Aci Castello per la messa, di buon mattino, onde sfuggire la tentazione di far peccati. ’Ntoni vedeva