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rimasuglio da riporre in serbo nel piatto, non lo dava più a lui, e gli metteva dell’acqua sporca nei fondi di bicchiere; sicchè ’Ntoni alla fine cominciò a fare il viso lungo, e la Santuzza gli rispose che i fannulloni non le piacevano, e lei e suo padre se lo guadagnavano il pane, così pure avrebbe dovuto far lui, e aiutare un po’ nella casa, a spaccar legna o a soffiare nel fuoco, invece di starsene come un lazzarone a vociare e dormire colla testa fra le braccia, o a sputacchiare per terra dappertutto, che faceva un mare e non si sapeva più dove mettere i piedi. ’Ntoni un po’ andò a spaccar legna, brontolando, o a soffiare nel fuoco, per fare meno fatica. Ma gli era duro lavorare tutto il giorno come un cane, peggio di quello che faceva un tempo a casa sua, per vedersi trattare peggio di un cane a sgarbi e parolacce, in grazia di quei piatti sporchi che gli davano da leccare. Una volta finalmente, mentre la Santuzza tornava dal confessarsi col rosario in mano, le fece una scenata, lagnandosi che questo avveniva perchè don Michele era tornato a gironzolare davanti l’osteria, che l’aspettava anche sulla piazza, quando andava a confessarsi, e lo zio Santoro gli gridava dietro per salutarlo, quando sentiva la sua voce, e andava a cercarlo fin nella bottega di Pizzuto, tastando i muri col bastone per trovar la strada. La Santuzza allora cominciò a fare il diavolo, e rispondergli che era venuto apposta per farle fare peccati, mentre aveva l’ostia in bocca, e farle perdere la comunione. — Se non vi piace andatevene! — gli diceva. — Io non voglio dannarmi l’anima per