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nata, e poi sono a spasso tutto il giorno; tale e quale come don Michele il quale sembra un uccellaccio perdigiorno, sempre là per i piedi, dacchè non va più a scaldare le panche della Santuzza.
— Per questo ce l’ha con me, — entrava a dire ’Ntoni; — è arrabbiato come un cane, e vuol fare il prepotente perchè ci ha la sciabola. Ma, sangue della madonna! una volta o l’altra voglio dargliela sul muso la sua sciabola, per fargli vedere che me ne infischio, io!
— Bravo! — esclamava lo speziale, — così va fatto! Bisogna che il popolo mostri i denti. Ma lontano di qua, chè non voglio pasticci nella mia spezieria. Al Governo non parrebbe vero di tirarmi nell’imbroglio pei capelli; ma a me non mi piace aver che fare coi giudici e con tutta quella canaglia della baracca.
’Ntoni Malavoglia levava i pugni al cielo, e giurava e sacramentava per Cristo e per la Madonna che voleva finirla, avesse dovuto andare in galera; già egli non aveva niente da perdere. La Santuzza non lo guardava più dello stesso occhio, tante gliene aveva dette quel paneperso di suo padre, piagnucolando fra un’avemaria e l’altra, dopo che massaro Filippo non mandava più il vino all’osteria! Le diceva che gli avventori cominciavano a diradare come le mosche a Sant’Andrea, dacchè non ci trovavano più il vino di massaro Filippo, al quale erano avvezzi come il bambino alla poppa. Lo zio Santoro ogni volta ripeteva alla figliuola: — Che vuoi farne di quell’affamato di ’Ntoni Malavoglia? Non vedi che