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Infine il povero padron ’Ntoni non osava più mostrarsi per le strade dalla vergogna. Il nipote invece, per evitare le prediche, veniva a casa colla faccia scura; così non gli rompevano la devozione con le solite prediche. Già le prediche se le faceva da sè stesso, a voce bassa, ed era tutta colpa della sua disgrazia che l’aveva fatto nascere in quello stato.

E andava a sfogarsi collo speziale e con altri di quelli che avevano un po’ di tempo per chiacchierare dell’ingiustizia sacrosanta che ci è a questo mondo in ogni cosa; che se uno va dalla Santuzza, per dimenticare i suoi guai, si chiama ubbriacone; mentre tanti altri che si ubbriacano a casa di vin buono non hanno guai per la testa, nè nessuno che li rimproveri o faccia loro la predica di andare a lavorare, giacchè non hanno nulla da fare, e son ricchi per due; eppure tutti siamo figli di Dio allo stesso modo, e ognuno dovrebbe avere la sua parte egualmente. — Quel ragazzo lì ha del talento! — diceva lo speziale a don Silvestro, e a padron Cipolla, e a chi voleva sentirlo. — Vede le cose all’ingrosso, così alla carlona, ma il sugo c’è; non è colpa sua se non sa esprimersi meglio; è colpa del governo che lo lascia nell’ignoranza.

Per istruirlo gli portava il Secolo e la Gazzetta di Catania. Però ’Ntoni si seccava a leggere; prima di tutto perchè era una fatica, e quand’era soldato gli avevano insegnato a leggere per forza; ma adesso era libero di fare quello che gli pareva e piaceva, e aveva un po’ dimenticato come si cacciano insieme le parole nello scritto. Poi tutte

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