Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 245 — |
mortaio, aveva fatto il suo lavoro. Che bel mestiere gli aveva insegnato suo padre a colui di far denari coll’acqua delle cisterne! Ma a ’Ntoni suo nonno gli aveva insegnato il mestiere di rompersi le braccia e la schiena tutto il giorno, e arrischiare la pelle, e morir di fame, e non aver mai un giorno da sdraiarsi al sole come l’asino di Mosca. Un ladro di mestiere che si mangiava l’anima, per la madonna! e ne aveva fino al naso, che preferiva fare come Rocco Spatu, il quale almeno non faceva nulla. Già adesso non gliene importava più della Zuppidda e della Sara di comare Tudda, e di tutte le ragazze del mondo. Esse non cercano che di pescare un marito il quale lavori peggio di un cane per dar loro da mangiare, e comprarle dei fazzoletti di seta, quando si mettono sull’uscio la domenica, colle mani sulla pancia piena. Piuttosto voleva starci lui, colle mani sulla pancia, la domenica e il lunedì, ed anche gli altri giorni, giacchè è inutile affaticarsi per nulla.
Così ’Ntoni faceva il predicatore, come lo speziale; — almeno aveva imparato questo nel viaggio, ed ora aveva aperto gli occhi, come i gattini dopo i quaranta giorni che son nati. «La gallina che cammina torna a casa colla pancia piena». Se non altro egli se l’era riempita di giudizio, la pancia, e andava a raccontare quello che aveva imparato sulla piazza, nella bottega di Pizzuto, ed anche all’osteria della Santuzza. Ora non vi andava più di nascosto all’osteria della Santuzza, che s’era fatto grande, e il nonno non gli avrebbe tirato le orecchie, alla fin fine; ed egli avrebbe saputo rispondere il