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Ma d’allora in poi non pensava ad altro che a quella vita senza pensieri e senza fatica che facevano gli altri; e la sera, per non sentire quelle chiacchiere senza sugo, si metteva sull’uscio colle spalle al muro, a guardare la gente che passava, e digerirsi la sua mala sorte; almeno così si riposava pel giorno dopo, che si tornava da capo a far la stessa cosa, al pari dell’asino di compare Mosca, il quale come vedeva prendere il basto gonfiava la schiena aspettando che lo bardassero! — Carne d’asino! — borbottava; — ecco cosa siamo! Carne da lavoro! — E si vedeva chiaro che era stanco di quella vitaccia, e voleva andarsene a far fortuna, come gli altri; tanto che sua madre, poveretta, l’accarezzava sulle spalle, e l’accarezzava pure col tono della voce, e cogli occhi pieni di lagrime, guardandolo fiso per leggergli dentro e toccargli il cuore. Ma ei diceva di no, che sarebbe stato meglio per lui e per loro; e quando tornava poi sarebbero stati tutti allegri. La povera donna non chiudeva occhio in tutta la notte, e inzuppava di lagrime il guanciale. Infine il nonno se ne accorse, e chiamò il nipote fuori dell’uscio, accanto alla cappelletta, per domandargli cosa avesse.
— Orsù, che c’è di nuovo? dillo a tuo nonno, dillo!
’Ntoni si stringeva nelle spalle; ma il vecchio seguitava ad accennare di sì col capo, e sputava, e si grattava il capo cercando le parole.
— Sì, sì, qualcosa ce l’hai in testa, ragazzo mio! Qualcosa che non c’era prima. «Chi va coi zoppi, all’anno zoppica».
— C’è che sono un povero diavolo! ecco cosa c’è!