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erano venuti quei denari. Ora la Banca è fallita. Che colpa ce ne ho io?

— Imbroglione! — gli sputava in faccia donna Rosolina colla schiuma alla bocca. — Truffatore! Io non vi avevo dato quei denari per andare a metterli in una Banca che falliva. Io ve li avevo dati per tenerci gli occhi addosso come se fosse stata roba vostra!...

— Sì! ho fatto come se fosse stata roba mia! — rispondeva il segretario con la faccia tosta, tanto che donna Rosolina gli voltò le spalle per non crepare dalla rabbia, e se ne tornò a Trezza sudata come una spugna, nell’ora calda, collo scialle sulla schiena. Don Silvestro rimase lì fermo a sogghignare, davanti al muro dell’orto di massaro Filippo, finchè ella non ebbe scantonato, e si strinse nelle spalle, borbottando fra di sè: — A me non me ne importa nulla di quel che dicono.

Ed aveva ragione di non curarsi di quel che dicevano. Dicevano che se don Silvestro si era messo in testa di far cascare la Barbara coi suoi piedi, ci sarebbe caduta, tal briccone matricolato egli era! Però gli facevano di berretto, e gli amici gli accennavano col capo, sogghignando, quando andava a chiacchierare nella spezieria. — Siete un bel prepotente! — gli diceva don Franco accarezzandolo sulle spalle. — Un vero feudatario! Siete l’uomo fatale, mandato in terra per provare come quattro e quattr’otto che bisogna fare il bucato alla vecchia società. — E allorchè veniva ’Ntoni a prendere il medicamento pel nonno: — Tu sei il popolo. Finchè sarai paziente come