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glia di ciarlare, ma invece se le ceste non bastavano, e Alessi doveva correre a casa a prenderne delle altre, il nonno si metteva le mani alla bocca per chiamare — Mena! oh Mena! — E Mena sapeva cosa voleva dire, e venivano tutti in processione, lei, la Lia, ed anche la Nunziata, con tutti i suoi pulcini dietro; allora era una festa, nè si badava più al freddo, o alla pioggia, e davanti alla fiammata stavano a chiacchierare sino a tardi della grazia di Dio che aveva mandato San Francesco, e quel che si sarebbe fatto dei denari.

Ma a quel giuoco da disperati si arrischiava la vita per qualche rotolo di pesce, e una volta i Malavoglia furono a un pelo di rimettercela tutti la pelle, per amor del guadagno, come Bastianazzo, mentre erano all’altezza dell’Agnone, verso sera, e il cielo era tanto fosco che non si vedeva più neppure l’Etna, e il vento soffiava a ondate che pareva avesse la parola.

— Brutto tempo! — diceva padron ’Ntoni. — Il vento oggi gira peggio della testa di una fraschetta, e il mare ha la faccia come quella di Piedipapera quando vuol farvi qualche brutto tiro.

Il mare era del color della sciara, sebbene il sole non fosse ancora tramontato, e di tratto in tratto bolliva tutt’intorno come una pentola.

— Adesso i gabbiani devono essere tutti a dormire; — osservò Alessi.

— A quest’ora avrebbero dovuto accendere il faro di Catania, — disse ’Ntoni, — ma non si vede niente.