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peva tutte quelle chiacchiere, continuava a venire a giocare nel cortile di comare Venera, come l’avevano avvezzata, quando la Barbara le dava i fichidindia e le castagne, perchè voleva bene a suo fratello ’Ntoni, ed ora non le davano più nulla; la Zuppidda le diceva: — Che vieni a cercare tuo fratello qui? Tua madre ha paura che vogliono rubartelo tuo fratello!
Comare la Vespa veniva anche lei nel cortile dei Zuppiddi, colla calzetta al collo, a dire roba di fuoco degli uomini, che sono peggio dei cani. E la Barbara rinfacciava alla ragazzina. — Lo so che non sono brava massaia come tua sorella! — E comare Venera conchiudeva: — Tua madre che fa la lavandaia, invece di stare a ciarlare dei fatti altrui al lavatoio, farebbe bene a dare una risciacquata a quei quattro soldi di vestina che hai indosso.
La bambina molte cose non le capiva; ma quel po’ che rispondeva faceva montare la mosca al naso alla Zuppidda, e le faceva dire ch’era sua madre Maruzza che la indettava, e la mandava apposta da quelle parti per stuzzicarle la bile, tanto che finalmente la piccina non ci andò più, e la gnà Venera disse che era meglio, così non venivano in casa a far le spie, che temevano sempre volessero rubarsi quel tesoro di Cetriolo.
Le cose arrivarono al punto che comare Venera e la Longa non si parlavano più, e se si vedevano in chiesa si voltavano la schiena.
— Vedrete che arriveranno a metter fuori le scope! — diceva la Mangiacarrubbe gongolando. — Non mi
Verga. I Malavoglia. | 11 |