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e le ragazze che passeggiavano cantando e tenendosi abbracciate. Mena uscì anche lei a braccetto della Nunziata, chè in casa si sentiva soffocare.
— Ora non si vedrà più il lume di compar Alfio, alla sera, — disse Nunziata, — e la casa rimarrà chiusa.
Compar Alfio aveva caricato buona parte delle sue cosuccie sul carro, e insaccava quel po’ di paglia che rimaneva nella mangiatoia, intanto che cuocevano quelle quattro fave della minestra.
— Partirete prima di giorno, compar Alfio? — gli domandò Nunziata sulla porta del cortile.
— Sì, vado lontano, e quella povera bestia bisogna che si riposi un po’ nella giornata.
Mena non diceva nulla, e stava appoggiata allo stipite a guardar il carro carico, la casa vuota, il letto mezzo disfatto, e la pentola che bolliva l’ultima volta sul focolare.
— Siete là anche voi, comare Mena? — esclamò Alfio appena la vide, e lasciò quello che stava facendo.
Ella disse di sì col capo, e Nunziata intanto era corsa a schiumare la pentola che riversava, da quella brava massaia che era.
— Così son contento, che posso dirvi addio anche a voi! — disse Alfio.
— Sono venuta a salutarvi, — disse lei, e ci aveva il pianto nella gola. — Perchè ci andate alla Bicocca se vi è la malaria?
Alfio si mise a ridere, anche questa volta a malincuore, come quando era andato a dirle addio. — O bella! perchè ci vado? e voi perchè vi maritate