Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 118 — |
gli usci chiusi, e piangere i bambini, e il rumore delle scodelle, dove stavano cenando, sicchè nessuno poteva udire. — Ora dei denari che ci vogliono per Piedipapera ne abbiamo la metà, e alla salatura delle acciughe pagheremo anche il resto.
Alfio a quel discorso lasciò l’asino in mezzo al cortile, e venne sulla strada. — Allora vi maritano dopo Pasqua?
Mena non rispose. — Ve l’avevo detto io! — aggiunse compare Alfio. — Li ho visti parlare io padron ’Ntoni con padron Cipolla.
— Sarà come vuole Dio! — disse poi Mena. — A me non importava di maritarmi, purchè mi avessero lasciata stare qui.
— Che bella cosa, — aggiunse Mosca, — quando uno è ricco come il figlio di padron Cipolla, che può prendersi la moglie che vuole, e può stare dove gli piace!
— Buona notte, compare Alfio; — disse poi Mena, dopo essere stata un altro pezzetto a guardare la lanterna appesa al rastrello, e l’asino che andava abboccando le ortiche pel muricciolo. Compare Alfio diede la buona notte anche lui, e se ne tornò a mettere l’asino nella stalla.
— Quella sfacciata di Sant’Agata, — brontolava la Vespa, la quale era a tutte l’ore dai Piedipapera, col pretesto di farsi prestare dei ferri da calza, o per venire a regalare qualche pugno di fave che aveva raccolto nella chiusa, quella sfacciata di Sant’Agata è sempre a stuzzicare compare Mosca. Non gli lascia un momento per grattarsi il capo! Vergogna! —