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Anche compare Mosca era di quelli che badavano ai fatti propri, e se ne andava tranquillamente, insieme al suo carro, in mezzo alla gente che gridava coi pugni in aria. — A voi non ve ne importa se mettono la tassa del pelo? — gli domandava Mena, come lo vedeva arrivare coll’asino tutto ansante e colle orecchie basse. — Sì che me ne importa, ma bisogna camminare per pagarla, la tassa; se no si pigliano il pelo con tutto l’asino, e il carro pure.

— Dice che vogliono ammazzarli tutti, Gesummaria! Il nonno ha raccomandato di tenere la porta chiusa, e non aprire se non tornan loro. Voi andrete ancora via domani?

— Io andrò a prendere un carico di calce per mastro Croce Callà!

— O cosa ci andate a fare? non lo sapete che è il sindaco, e vi ammazzeranno anche voi?

— Egli dice che non gliene importa a lui; che fa il muratore, e deve allestire quel muro della vigna per conto di massaro Filippo, e se non vogliono il dazio della pece, don Silvestro ci penserà lui a qualche altra cosa.

— Ve l’aveva detto io ch’è tutta roba di don Silvestro! — esclamava la Zuppidda, la quale era sempre lì, a soffiare nel fuoco, colla conocchia in mano. È roba di ladri e di gente che non ha nulla da perdere, e non paga nulla col dazio della pece, perchè non ha mai avuto nemmeno un pezzo di tavola in mare. — La colpa è di don Silvestro, — seguitava poscia a sbraitare di quà e di là, per tutto il paese, — e di quell’imbroglione di Piedipapera, il quale non ha