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certo, e così era, che fosse invasato dal Demonio.; imperocch’ egli isvillaneggiava di parole e di battiture sì sconciamente chiunque lo serviva; e ch’è peggio, ch’egli vituperosamente bestemmiava Cristo benedetto, e la sua Santissima Madre Vergine Maria; che per nessun modo si trovava chi lo potesse o volesse servire. E avvegnachè le ingiurie e villanie proprie i Frati si studiassero di portare pazientemente, per accrescere il merito della pazienza; nientedimeno quelle di Cristo e della sua Madre non potendo sostenere le coscienze loro, al tutto diterminarono d’abbandonare il detto lebbroso: ma non lo vollono fare, insino a tanto che eglino il significarono ordinatamente a san Francesco, il quale dimorava allora in un luogo quivi presso. E significato che gliel’ebbero, e san Francesco se ne viene a questo lebbroso perverso; e giugnendo a lui, sì lo saluta, dicendo: Iddio ti dia pace, fratello mio carissimo. Risponde il lebbroso: Che pace posso io avere da Dio, che m’ha tolto pace e ogni bene, ed hammi fatto tutto fracido e putente? E san Francesco disse: Figliuolo, abbi pazienza, imperocchè le infermitadi dei corpi ci sono date da Dio in questo mondo per salute dell’anime, perocch’elle sono di grande merito, quand’elle sono portate pazientemente. Rispondè lo infermo: E come poss’io portare pazientemente la pena continua, che m’affligge il dì e la notte? E non solamente io sono afflitto dalla infermità mia; ma peggio mi fanno i frati, che tu mi desti perchè mi servissero, e non mi servono come debbero. Allora san Francesco, conoscendo per rivelazione, che questo lebbroso era posseduto dal maligno spirito, andò e posesi in orazione, e prego Iddio divotamente per lui. E fatta l’orazione, ritorna a lui, e dice così: Figliuolo, io ti voglio servire io, dappoichè tu non ti contenti degli altri. Piacemi, dice lo ’nfermo: ma che mi potrai tu fare più che gli altri? Risponde san Francesco: Ciocchè tu vorrai io farò: dice il lebbroso: lo voglio, che tu mi lavi tutto quanto; imperocch’io puto sì