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del letame per tutta la terra, se gli fusse data una casa tutta pieną d’oro? e dicea: Oimè, perchè non vogliamo noi sostenere un poco di vergogna, acciocchè noi potessimo guadagnare vita beata?
XIII. Della tristizia, ch'ebbe frate Ginepro della morte
del suo compagno frate Amazialbene.
Avea frate Ginepro uno compagno frate il quale intimamente amava, e avea nome Amazialbene. Bene avea costui in sè virtù di somma pazienza e obbedienza; perocchè, se per tutto il dì fusse stato battuto, mai non si rammaricava, nè si richiamava solo d’una parola. Era spesso mandato a’ luoghi, dov’era malagevole famiglia in conversazione, da cui riceveva molte persecuzioni: le quali sostenea molto pazientemente, senza alcuna rammaricazione. Costui al comandamento di frate Ginepro, piagnea e ridea. Ora morì questo frate Amazialbene, come piacque a Dio, con ottima fama; e udendo frate Ginepro della sua morte, ricevettene tanta tristizia nella mente sua, quanta mai in sua vita avesse mai avuta di nessuna cosa sensuale. E così dalla parte di fuori dimostrava la grande amaritudine ch’era dentro, e dicea: Oimè tapino, che ora non m’è rimaso alcuno bene; e tutto il mondo è disfatto nella morte del mio dolce e amantissimo frate Amazialbene! E dicea: Se non che non potrei aver pace con li frati, io andrei al sepolcro suo e piglierei il capo suo, e del teschio farei due scodelle; l’una, nella quale per sua memoria, a mia divozione, per continuo mangerei; e l’altra, colla quale io berei, quando io avessi sete o voglia di bere.
XIV. Della mano, che vide frate Ginepro nell’aria.
Essendo una volta frate Ginepro in orazione, e forse cogitava di sè grandi fatti, e parendogli vedere una