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di s. francesco | 185 |
lutazione, riverenza, o aspettazione poco si curava, ma molto sollecitava l’altalena. E così aspettando per grande spazio, alquanti cominciarono a tediare e dire: Che pecorone è costui? Alquanti cognoscendo delle sue condizioni, crebbero in maggiore divozione; nondimeno tutti si partirono, e lasciarono frate Ginepro in sull’altalena. Ed essendo tutti partiti, frate Ginepro rimase tutto consolato, perocchè vide alquanti che aveano fatto beffe di lui. Muovesi, ed entra in Roma con ogni mansuetudiue e umiltade, e pervenne al convento de’ frati Minori.
X. Come frate Ginepro fece una volta cucina ai frati
per quindici dì.
Essendo una volta frate Ginepro in uno luoghicciuolo di frati, per certa ragionevole cagione tutti li frati ebbero andare di fuori e solo frate Ginepro rimase in casa. Dice il Guardiano: frate Ginepro, tutti noi andiamo fuori, e però fa’ che quando noi torniamo, tu abbi fatto un poco di cucina a ricreazione de’ frati. Rispuose frate Ginepro: molto volentieri, lasciate fare a me. Essendo tutti li frati andati fuori come detto è, disse frate Ginepro: Che sollecitudine superflua è questa, che uno frate stia perduto in cucina e rimoto da ogni orazione? Per certo, ch’io ci sono rimaso a cucinare questa volta; io ne farò tanta, che tutti li frati, e se fossero ancora più, n’averanno assai quindici dì. E così tutto, sollecito va alla terra, e accatta parecchie pentole grandi per cuocere, e procaccia carne fresca e secca, polli, uova ed erbe, e accatta legne assai, e mette a fuoco ogni cosa, cioè polli con le penne e uova col guscio, e conseguentemente tutte l’altre cose. Ritornando i frati al luogo, uno ch’era assai noto della semplicità di frate Ginepro, entrò in cucina, e vede tante e così grandi pentole a fuoco isterminato; e ponsi a sedere, e con ammirazione considera e non dice nulla, e ragguarda con quanta sol-