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san Francesco per lo borgo a san Sepolcro; ed innanzi che s’appressasse al Castello, le turbe del Castello e delle ville gli si fecero incontro, e molti di loro gli andavano innanzi co’ rami d’ulivi in mano gridando forte: Ecco il santo, ecco il santo; e per divozione e voglia, che le genti aveano di toccarlo, faceano grande calca e pressa sopra lui: ma egli andando colla mente elevata e ratta in Dio per contemplazione, quantunque e’ fosse dalla gente toccato, o tenuto e tirato; a modo che persona insensibile, non ne sentì niente di cosa che intorno a se fosse fatta, o detta; nè eziandio s’avvide, che e’ passasse per quello Castello, nè per quella contrada. Onde passato il borgo, e tornatesi le turbe a casa loro, giugnendo egli ad una casa di lebbrosi, di là dal borgo bene uno miglio, e ritornando in sè, a modo come se venisse dallo altro mondo, il celestiale contemplatore domandò il compagno: Quando saremo noi presso al borgo? Veramente l’anima sua, fissa e ratta in contemplazione delle cose celestiali, non avea sentita cosa terrena, nè varietà di luoghi, nè di tempi, nè di persone occorrenti. E questo più altre volte addivenne, secondo che per chiara esperienza provarono i compagni suoi. Giugne in quella sera san Francesco al luogo de’ frati di Monte Casale, nel quale luogo si era un frate sì crudelmente infermo, e sì orribilmente tormentato della infermità che ’l suo male parea piuttosto tribolazione e tormento di Demonio, che infermità naturale; imperocchè alcuna volta egli si gittava tutto in terra con tremore grandissimo, e con ischiuma alla bocca; or quivi gli si attrappavano tutti gli nerbi del corpo: or si stendevano, or si piegavano, or si storcevano, or si raggiugneva la collottola colle calcagna; e gittavasi in alto, e immantinente ricadea supino. Ed essendo san Francesco a tavola, e udendo da’ Frati di questo Frate così miserabilmente infermo e senza rimedio, ebbegli compassione; è presa una fetta del pane che egli mangiava, fecevi suso il segno della santissima Croce con le sue sante