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Nessuno fiatò; tutti abbracciarono la giovane madre e il fanciullo ed ottenuta la benedizione del padre presero tosto la via di Mosca.

Ma i loro progetti andarono a monte. La notizia del loro arrivo li aveva preceduti e la contessa, spaventata, ottenne dal generale Nejhart, governatore di Mosca, che i cinque fratelli Savatchernick e il loro cognato Bogieszewoki fossero arrestati appena entrati in città. L’ordine del generale fu eseguito puntualmente. Appena i sei gagliardi si presentarono alla porta Smolinsk furono arrestati e racchiusi nel Cremlino, da dove sortirono dopo tre mesi, per essere ricondotti sotto buona scorta, al loro reggimento.

Tornati al reggimento i parenti di Elisabetta tennero congresso e deliberarono di tirare a sorte chi tra loro dovesse dare le sue dimissioni, allo scopo di potere liberamente vendicare la sorella.

La sorte indicò Ivan, il quarto fratello. Ivan accompagnato da un servo partì subito per Mosca. Ma non aveva mai veduto il conte e temendo che la curiosità non lo perdesse, facendolo spedire in Siberia, cercò qualche espediente, per superare questa difficoltà. Passando per Voronije, villaggio dipendente dalla famiglia Novosiline, nella stanza di un albergo vide una stampa grossolana e colorita, raffigurante un cavaliere vestito dell'uniforme dei cavalieri della guardia.

— Chi è quel personaggio? chiese.

— Il conte Novosiline.

— Il giovane, o il defunto conte?

— Il giovane.

Ivan studiò bene i lineamenti di quella rozza incisione e.... riprese cammino.

Quando da lungi incominciava a scorgere le guglie e i minareti e le torri grigie del Cremlino, si trovò a faccia con un cavaliere la cui fisionomia gli ricordava la incisione volgare, esaminata all’albergo.

Colpito da quella somiglianza Ivan l’accostò e

— Voi siete il conte Novosiline?

— Sono il conte Novosiline.

— Ed io sono Ivan Savatchernick.