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pazzo dal dolore, al mattino andò alla ricerca del marchese ed incontratolo al circolo comune, lo afferrò pel colletto e per la cintura e messolo fuori di finestra, gli disse freddamente:

— Se tu non mi chiedi perdono; se tu non ritratti le parole che mi hai detto; ti lascio andare.

A cui il marchese:

— Se tu non mi lasci cadere, dirò che sei un vile.

Un vecchio si avvicinò a Luciano e a bassa voce gli ricordò la donna, che lo attendeva a casa.

Luciano Claveau ricondusse il marchese nella sala e gettandolo sopra un divano esclamò:

— Va; io sono migliore di te! Ti faccio grazia della vita.

Appena il marchese lo potè, scattò in piedi e assestò la sua mano sul viso di Claveau.

All’indomani, quando il giorno spuntava, i due spadaccini, terrore di Bordeaux, si trovavano di fronte, armati di spada triangolare. Al comando d’attacco, si precipitarono l’uno contro l’altro, combattendo con un accanimento addirittura brutale. Claveau, mentre parava e rispondeva agli attacchi del marchese, diceva:

— Ieri m’hai dato uno schiaffo e non ho pensato a rendertelo; ma vo’ restituirtelo prima di mandarti all’inferno. E con un movimento abilissimo restituì al marchese la ceffata ricevuta.

Questo fece perdere la bussola al marchese che faceva bava dalla bocca, mentre il fiele dell’ira gli schizzava dagli occhi. Rabbioso, si slanciò contro Claveau, che piantato come un centauro, lo ricevette di piè fermo, esclamando:

— Ed ora, caro il mio marchese, siamo pari; però tra breve mi dovrete qualchecosa. Se sapeste, come desidero darvi una buona lezione. Non voglio uccidervi; voglio solo ferirvi in maniera che per tutta la vita abbiate a ricordarvi del vostro Luciano. E, così dicendo Claveau, gli piantava la spada nel piede destro di maniera che il marchese, rimasto immobile, sembrava inchiodato al terreno. Poi, soprafatto dal dolore, abbandonò l’arma e saltarellando su di un piede solo cominciò a vomitare le ingiurie più atroci contro il feritore.


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