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E parte anche il tenente De Pertzell, che in tutta questa triste faccenda, è quello che per nobiltà d’animo fa la miglior figura, anche per la correttezza delle deposizioni nelle quali parla, fra altro, lealmente, sul contegno tranquillo dei padrini avversarii. Il tenente parte, ma non fugge, benchè anche nel codice militare il duello sia delitto, ed egli sia sotto processo. Egli si reca a Como, al confine, per lanciare al Dembowsky una sfida. In una fiera lettera, gli rimprovera ancora d’aver violati i patti del duello; gli propone un duello a morte colla pistola, e lo chiama «vile e infame» se si sottrae al dovere. Il Dembowsky gli fa rispondere dalla Svizzera, da certo Dubois, ch’egli non sarebbe mai ritornato nel suolo austriaco per non cadere nelle fauci della giustizia, e che neppur egli, De Pertzell, in fine, non aveva varcato il confine.... considerando che, se lo avesse varcato, sarebbe stato dichiarato disertore.


Il duello tra Dembowsky e De Pertzell non si fece, nè la polizia austriaca, per quanto facesse, riescì ad arrestare gli imputati borghesi, contro i quali era stato incoato un processo di alto tradimento, o di qualche cosa di simile, perchè, in una perquisizione in casa Dembowsky, fu trovata una lettera da Genova piena di allusioni e firmata con A. R. (Agostino Ruffini). Dembowsky, il Resta e il Belgiojoso si resero a Parigi, e il Majnoni a Londra, da dove tornò per combattere, com’ho detto, da eroe, sulle barricate e a Novara contro gli austriaci.

Ma intanto il consigliere criminale Scheeburg, sollecitato, spingeva alacremente l’istruttoria del processo, che dilagava e non solo colpiva il duellante e i suoi padrini; ma per opera di Paride Zajotti, novello Torquemada, induceva all’arresto di estranei al duello, tra i quali primeggiavano i nomi venerati di Giambattista Carta, di Pietro Giordani, di Antonio Papadopoli veneziano e di Cesare Cantù.