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Il giovane Dovalle, un poeta di gran talento e di molte speranze, prediletto dalle Muse di Gallia, tra un sonetto e l’altro bramava di fare un po’ di critica.

Un giorno, parmi al primo di dicembre del 1829, volle sciorinarne una contro il figlio di Brunet, Mira, direttore del teatro. In conclusione nulla di grave; una o due frasi di quelle che facilmente sfuggono dalla penna nella foga del lavoro e che si possono ritirare senza restarne per questo disonorati. Ma, il signor Mira se n’ebbe assai a male, se ne dichiarò offeso e chiamò l’offensore in campo chiuso. Il giorno 2 dicembre scesero sul terreno dello scontro, ed al momento di far fuoco, Mira tirò fuori dalla tasca una dichiarazione a suo favore, la lesse ad alta voce, chiedendo poi all’avversario se era disposto a sottoscriverla.

Dovalle rifiutò.

Dovalle preferito dalla sorte, sparò per primo e sbagliò. Mira, a sua volta sparando, non prese il bersaglio.

I testimoni fatti allegri e felici del risultato negativo del combattimento si precipitarono tra i contendenti dichiarando l’onore salvo (!!) e gli animi pacificati. Ma quando tutti furono riuniti per indurre i duellanti a stringersi la mano, restarono come la moglie di Loth, vedendo Mira tirar fuori una nuova dichiarazione che, dopo letta a voce alta, sottopose alla firma di Dovalle, che la respinse.

— Ebbene, esclamò Mira irritato; vi sono ancora quattro palle; continuiamo! E se non basteranno ne manderò a prendere venti e noi spareremo fino a che io abbia ottenuto quella soddisfazione a cui ho diritto.

Il numero dei colpi da sparare non era stato prestabilito e i testimoni, un po’ tardi, si accorsero della loro dabbenaggine; ma dovettero riconoscere il buon diritto che Mira accampava. Però, invece di ritirarsi, tacquero per ricaricare le pistole. Ma nessuno fu costretto a correre in cerca di altri projettili perchè Dovalle cadde fulminato al secondo colpo1.

Questa uccisione fu per Mira una vera jattura, anzi una

  1. Gaz. des tribunaux, 27 ottobre 1830.