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La lettera, in data «Roma, 28 febbraio sera, 9 ¾ pom.,» era infatti cortesissima e diceva fra l’altro:


                «Caro Cavallotti,

«.... Sono venuto a Roma credendo di battermi subito. I nostri rappresentanti hanno giudicato non fosse il caso di venire agli estremi. Io rispetto i giudicati, ma siccome tu non sei del parere mio.... io non tollero le situazioni incerte. Io non ho tutto il tuo brillante stato di servizio, anche perchè sono più giovane di te, ma sono, come te, uomo d’azione. Vuoi che la finiamo? Non sarebbe bello che tu tentassi di sopraffarmi colla superiorità del tuo passato, conquistato a furia di abnegazione e di coraggio, quantunque io senta di avere il fegato sano come il tuo.... Da ieri sera, dopo che ho saputo il pensiero tuo sul verbale, sono qui con padrini nuovi in attesa di decisioni tue.... farò lo sfidante o lo sfidato, poco importa, purchè si esca una volta da questa noiosa situazione.... Abbimi intanto

«Tuo aff.mo Macola».


Fu appena letta questa lettera (poichè a pigliarmi colle buone, io divento un pan di zucchero) che io dichiarai subito, lì per lì, al porgitore collega Donati, che mi felicitavo assai di veder il Macola, finalmente, in queste buone disposizioni: che il suo desiderio era anche il mio: e cordialità per cordialità, lo prendeva subito in parola.

Felicissimo io poi che, non potendo contraddirmi, egli sfidante non avesse, come serivevami nulla in contrario a rimanerlo: perchè ciò eliminava fin l’ultima difficoltà. Mi mandasse pur dunque immediatamente i padrini che diceva d’aver pronti, purchè venissero con incarico, non più di discutere, ma di fissare nelle 24 ore lo scontro. E il cortese intermediario partì subito con questa mia risposta, che a lui non dispiaceva, intanto che io mi recavo la sera stessa ad