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grafo dell’art. 309 del Codice penale francese, il quale stabilisce che «ogni individuo il quale abbia ferito o portato volontariamente dei colpi, senza intenzione di dare la morte, ma avendola occasionata, è punito coi lavori forzati a «tempo». Si aggiunga ancora che a termini dell’art. 463: «Se il colpevole ottiene le circostanze attenuanti, la Corte deve applicare la pena della reclusione, o del carcere, da due a cinque anni, senza poter ridurre la durata del carcere al disotto di due anni».
Questi erano e sono gli articoli; ma in un caso simile i giurati assolvono, sembrando loro la pena troppo severa.
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Il capitano Cremieu-Foà, che si battè con Drumont e con Lamase, dopo scontati gli arresti per tali duelli, tornò a Parigi, deciso di battersi col De Morès. Volle prima vedere il cadavere dell’amico, capitano Maver, e quando fu in sua presenza, lo abbracciò singhiozzando.
Il vecchio Mayer, padre dell’estinto, che non lo conosceva, gli chiese:
— Ma chi siete voi, che vi mostrate così addolorato della morte del mio povero figliuolo?
— Sono il capitano Cremieu-Foà, rispose questi con voce trattenuta.
E il vecchio padre, certo pensando che in parte a lui doveva la morte del figlio, non disse più una parola e uscì di camera.
Quasi subito uscì anche il Cremieu-Foà, e si mise in cerca del De Morès. Fu alla casa di lui, al giornale la Libre parole, al Club, senza trovarlo, e dovunque lasciò una carta da visita così concepita: «Il capitano Cremieu-Foà alla ricerca del marchese De Morès».
«In questa faccenda vi ha però una persona sulla quale pesa una grande responsabilità e che comincia a essere biasimata anche dai giornali: e questa persona è il fratello del capitano Cremieu-Foà. Fu lui, che contro l’accordo preso dai