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Quel certo non so che di inconfessabile di uno scrittore, che replica con sanguinose offese personali al rifiuto di pubblicare un romanzo!

Il signor Belz non era stato colpito nell’onore; ma nella sua vanità!

Questa maniera d’imporsi a colpi di spada, non ha nulla in sè che possa accaparrare le simpatie di una Corte d’Assise; questa maniera di comprendere la grancassa deve offendere i laboriosi, che lentamente conquistano i loro gradi a traverso alle mille difficoltà delle quali è irta la difficile êra della letteratura.

«Spingere un uomo agli estremi sotto lo specioso pretesto che non ha potuto dare la soddisfazione agognata dal nostro amor proprio; mettergli la spada in pugno e stenderlo inanime al suolo; far tutto questo a cuor leggero, senza una ribellione della coscienza, senza un rimorso, nemmeno apparente, ah! per Dio, costituisce un insieme di fatti riprovevoli, contro i quali il buon senso dei giurati doveva ribellarsi. Ora il signor Belz saprà che in mezzo alla libertà, o meglio, alla tolleranza del duello, la coscienza pubblica salvaguarda i suoi diritti, e che la legge non è disarmata1».


La causa del duello nel quale lasciò sì malamente la vita il Pierotti, mi fa rivivere nella mente l’aneddoto di quel direttore di un giornale chinese, che per sua grande jattura aveva a governatore della provincia un Mandarino, altrettanto bottonato quanto asino, benchè impenitente grafomane.

Ogni giorno il Mandarino spediva le sue elucubrazioni

  1. Al dibattimento fu provato che il Belz, prima di battersi, era stato da un cartolaio, consigliandogli di procurarsi molte fotografie sue, di Belz, perchè tra poche ore egli sarebbe stato.... popolare, uccidendo un povero padre di famiglia!
    Dell’uccisore di Pierotti abbiamo campo di accennare nel duello Meyer.