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ozioso qualunque, sperperante ne’ vizi una sostanza guadagnata non certamente col lavoro; che fa bene ad alcuno; che cerca d’imporsi con la brutalità e la violenza; felicissimo forse di questo processo che lo consacra uomo d’onore e duellista terribile.

Saint-Victor è stato vigliaccamente aggredito e insultato da Assalin. Egli non voleva battersi, lui, padre di una famiglia che viveva del suo lavoro. Voleva che tutto si accomodasse; avrebbe fatto scuse; ma Assalin, esigente e insolente, l’ha costretto a scendere sul terreno e gli ha squarciato l’addome, tirando proprio lo stesso colpo che aveva tirato a Josserand. Carraby è convinto che, malgrado la clausola di cessare lo scontro al primo sangue, Assalin ha colpito l’avversario dopo essere stato ferito e quando Saint-Victor, sicuro di aver toccato, non era più sulla difesa. Infatti, l’ucciso sentendosi ferito a morte, esclamò: «Avevo toccato per primo!» Queste parole costituivano l’ultima e la più energica protesta del ferito contro il violatore delle leggi dell’onore e della lealtà.

L’asserzione di de Saint-Victor dice: «Assalin è un assassino!» perchè davanti alla morte non si mente!

Le parole dell’avvocato Carraby producono grande impressione. Assalin, che non ha mai avuto una parola di rimpianto o di pentimento, anch’egli si decide a mostrarsi un pochino commosso.

Alle sei di sera parla il procuratore della Repubblica, Thibault, al quale replica il difensore di Assalin, avvocato Lachaud.

Alle quattro del mattino, dopo calde repliche delle parti, il giurì si ritira per deliberare. Torna alle quattro e mezza assolvendo i quattro testimoni e condannando Assalin come reo di colpi e ferite volontarie.

Grande emozione nel pubblico che approva. Il giurì, si capisce, volle colpire un prepotente brutale, un accattabrighe, un fannullone, causa unica e sola della sventura che colpì de Saint-Victor e la sua famiglia.

Assalin viene condannato a quattro mesi di prigione e al pagamento di cinquantamila franchi alla vedova e di cinquantamila alla figlia dell’ucciso.