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Assalin, benchè congiunto alla famiglia Schneider, tanto e da tutti stimata, non è simpatico. Passa per uno spadaccino e per un buontempone; per un buono a nulla. Non era proprio capace di tutto; ma da vero, non era buono a nulla. L’ho veduto all’udienza, buttato là, sul banco degli accusati, ingarbugliarsi goffamente in ragioni sballate. È un uomo alto, vigorosissimo, di appena ventisette anni; ma non rappresenta di certo la Francia giovane e laboriosa.

Collo taurino; bruno; occhi grandi, impietriti; voce da ubbriacone. Assalin deve preferire lo champagne all’acqua fresca. Ciò gli si legge sul volto! Malgrado la sua reputazione di rompispade e di ammazzatutti, non m’impedirà di fare il suo ritratto esatto.

La sua esistenza si riassume in poche parole: caccia e scioperatezza a tutta oltranza. Se Balzac rivivesse farebbe uno studio interessantissimo di questo tipo di ricco villano, chiassoso, arruffone, spaccamontagne.

Assalin affetta di essere un buon figliuolaccio e una scorrettezza di parole..., ch’io giudico esagerata. Egli dice: «I miei testimoni sono stati leali» e, vuotando a sorsi un bicchier d’acqua pura con l’esitazione propria a chi è abituato a bere vino, sempre vino: «Sono io, che sono malato; ho la gola secca, e non posso parlare!»

Il presidente Bernard, che dirige questo processo scabroso con fine acume, gli ricorda che ha subito due condanne per reato di caccia; e una per vie di fatto. Gli rammenta che si è di già battuto un’altra volta con un giornalista e che dopo il duello espresse il dispiacere di non averlo ucciso.

Assalin protesta.

Entrando in materia del processo il presidente prosegue:

— Voi siete il capo della caccia al lupo1 e vi si accusa di avere avuto alcune questioni di caccia con parecchi

  1. Louveterie: il necessario per la caccia del lupo; louvetier: lupajo, sopraintendente alla caccia del lupo; e anche il possidente che si è obbligato a tenere il necessario per detta caccia, in seguito ad un compenso prestabilito d’accordo con le autorità.