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Cremona, Pier Antonio Gargano; i due Gonzaga, Gian Francesco, detto Cagnino, e Luigi Alessandro, marchese di Castelgoffredo; nonchè i due celebratissimi guerrieri, Antonio da Leyva, luogotenente generale di Carlo V, e Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, Pesaro e Camerino1.

Figuriamoci, dunque, se non fossero state valutate le qualità morali quante migliaia di cavalieri sarebbero ancora perite in duello!


Tante lordure cavalleresche non potevano perpetuarsi. L’anarchia assoluta nel rispetto della vita e della proprietà doveva necessariamente, per lo sforzo stesso delle cose, avere un fine. E, forse, più per ragione storica, che per volontà degli uomini, fu visto il duello a perdere prima il carattere cavalleresco e poi quello politico; e nel secolo delle voluttà, dopo Luigi XV, frammischiarsi ai divertimenti ed ai piaceri, per montare pian piano sino ai gradini del trono, e ridiscendere nei ranghi inferiori della società, sotto l’ondata sempre crescente dei principi di eguaglianza e di libertà.

Così, anche il duello, al pari di tutte le arti, di tutte le scienze, di tutti i costumi, subì la sua evoluzione, e per una continuata opera di selezione, adagio adagio andò trasformandosi; si purificò; si ingentilì a tale punto da diventare in oggi quasi sempre una commedia tutta da ridere, nella quale la fanno da eroi pure i vili, consacranti col simulacro di una lotta cruenta e pericolosa la bugia, la calunnia e l’equivoco.



  1. Sommi Picenardi Guido; Castelgoffredo e i Gonzaga. Milano, Lombardi, 1864, pag. 43.