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Mancini, padre del capitano Eugenio. E Mancini e la sua illustre signora Laura Beatrice Oliva Mancini avevano compromessa nell’avv. Curti ogni loro autorità e facoltà, affinchè le conseguenze del caso miserando fossero, al più possibile, attenuate. Anche Augusto Pierantoni, allora deputato, oggi senatore, cognato del capitano Eugenio, la cui colta sorella, Grazia Mancini, egli aveva sposata, venne a Milano, e cooperò col Curti a minorare, se fattibile, i tristi corollari della fiera anormalità.... Ed ecco come, di quella domestica tragedia, l’atto rappresentatosi a Milano, l’ho ancora tutto qui, integro e minuto, nel più riposto seno cerebrale.

Evelina Kattermol, nel 1875, aveva venticinque anni, ed era sposa ad Eugenio Mancini da parecchi. Nasceva a Firenze da un professore inglese, che insegnava il francese. Se non bellissima, piacentissima, era bionda, sottile, eterea, intelligente, fina e mordace. Alle sue nozze molti avevano auspicato, fra cui il povero Medoro Savini, grande amico di casa Mancini. La luna di miele — ahimè! — fu rapida. Ma non rimescoliamo le ceneri del passato. Non rettifichiamo tutte le inesattezze retrospettive, oggi gabellate per fatti, fra le quali l’accennata morte, per suicidio, della cameriera, che per rivalità sarebbe corsa a denunciare la sua signora in flagranza di fallo al marito, che in quel momento trovavasi in una trattoria di via Unione, e poco discosta dalla sua abitazione di via Torino: onde il fulmineo ritorno a casa del tradito consorte e la scena violenta che ne seguì, con difficilissima ritirata dei due complici. Suicidio compiuto non fu quello della camerista; ma solo tentativo: l’appressò alle labbra la fiala dell’acido solforico, ma non ingoiò il tremendo beveraggio, che le bruciò la gola, il palato, la bocca, e il viso: e la lasciò per del tempo, superstite, colla compagnia dell’orrendo rimorso per la successiva tragedia. Non ho dimenticato il tetro dibattimento, in cui difeso, non dal padre Mancini — come scrivono oggi — ma dal cognato Pierantoni e dal compianto Napoleone Perelli — il capitano Eugenio fu assolto, con ammissione per lui della discriminante prodotta dalla forza irresistibile, suscitata dall’onor suo oltraggiato. Ricordo le dimostrazioni patologiche della Kattermol, la quale,