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     1.° dovete venire da noi per ottenere il consenso de’ miei parenti. Ma se non riesciremo, dopo aver esaurito tutti i mezzi per raggiungere le nostre aspirazioni, dobbiamo essere inesorabili; peggio per chi ci spinse; abbiamo l’Egitto e l’Italia che ci stendono le braccia1.

     2.° Io voglio e desidero che la faccenda scorra veloce. Gli ostacoli non mancheranno, e saranno grandi; ma voi avete dalla vostra il genio, che con l’ajuto di Dio ridurrà i macigni in sabbia e in polvere. La parte più dura tocca a me, perchè io debbo con mano ferma uccidere un cuore fedele (il cuore del valacco affezionatissimo, brutto e ricco), che mi professa un amore sincero. Io devo distruggere con riprovevole egoismo un sogno pieno d’amore e di giovinezza: la realizzazione del quale avrebbe portato la completa felicità ad un nobile uomo. Tutto questo per me sarà spaventevole; ma lo debbo, e per amore vostro sarò cattiva!».

E Lassalle, al colmo della sua felicità, grida come un bambino: «Tutti i miei mali sono spariti; e i miei dolori si son mutati in gioia». Ed all’amata e bella amica scriveva: «Voi siete il raggio di sole, che avete dissipato le tenebre dell’anima mia».

E decise di recarsi al più presto a Ginevra per ottenere l’assenso dei genitori di Elena, benchè l’incostanza della giovane Dönniges lo preoccupasse assai.

Intanto il tempo scorre; i Dönniges si stabiliscono a Berna e Lassalle vi accorre e si alloca vicino alla villa del padre dell’adorata fanciulla.

La madre della giovane, informata dalla figlia de’ suoi propositi, monta sulle furie e non risparmia mezzo per dissuadere Elena dallo sposare Lassalle.

L’amante riamata si mostrò fedele, tenace, talchè fu indispensabile l’intervento del signor Dönniges. Quello che accadde è più facile ad immaginarlo che a descriverlo; ma Elena, ferma come una roccia alle ondate furibonde della tempesta famigliare, scrive a Lassalle: «io sono ferma come

  1. Questo si chiama parlar chiaro!