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le fossero giunte all’orecchio; ma anzi che correre a Lei, io mi vedevo condotto entro una fortezza, senza speranza di poterle inviare una parola di consolazione.!!.

All’apparire delle prime stelle cominciò a spirare una brezza sottile sensibilissima; e andando i feriti a loro viaggio a capo scoperto, come spesso ai soldati avviene di trovarsi alla fine dei combattimenti, i Dragoni che ci scortavano con l’elmo in capo, spontaneamente ci offrirono i berretti da quartiere, e da servizio di fatica, dei quali erano forniti; e deposta ogni ira sciolsero poi dalle selle anche i bianchi mantelli e con cortese amorevolezza ce li porsero; con che sembravamo essere anche noi del Reggimento Dragoni.

Attraversando le belle pianure di Capua si vedevano gli accampamenti dell’armata Regia agiatamente attendati; protetti dalle scolte, illuminati da vivi fuochi, ed ordinati nella più perfetta disposizione militare.

Dacché c’eravamo posti in cammino, contando il tempo che passava, io domandavo al mio Giovambattista se si sentisse bene, ed essendo già trascorsa l’ora fatale, senza molesto indizio di vomito, col crescere della speranza aumentava la mia consolazione.

L’arrivo a Capua.


All’avvicinarsi a Capua la città appariva illuminata a festa, in segno di trionfale tripudio per la riportata vittoria.

Entrasi a Capua dal lato di Gaeta per un ponte levatoio gettato sul Volturno; e se ne esce dal lato di Napoli per altro ponte piantato su di un fosso.

Giunti al Volturno — calato il ponte — ed oltrepassatolo, il popolo, che festeggiante si trovava a diporto per le vie, affollavasi intorno al carro dei feriti; e tratto in inganno da quella parvenza dei mantelli bianchi, nei quali ci tenevamo involti, proruppe in sulle prime in accenti della più dogliosa commiserazione; quando poi ebbe dalle barbe l’indizio da giudicare che fossero volontari garibaldini, gli accenti compassionevoli cangiaronsi tosto in insulti feroci ed in grida di morte.

Ad un lazzarone, che per rabbia, più di tutti gli altri, a più non posso, sfiatavasi con assordanti grida, il vecchio Zaoli, che lo aveva a giusto tiro, sputò sulla faccia un grosso farfallone che parea tuorlo d’uovo con la biacca — e lo sputacchiato all’istante ammutolitosi ebbe a che fare a torselo, con la mano, di viso.

I Dragoni intanto serratisi intorno al carro, a malo stento riuscendo a trattenere con le sciabole il popolo, che ferocemente imprecava e fischiava, fatto entrare il carro nell’androne dell’ospitale militare ne