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titolo: L’arte divulgatrice dell’arte, in cui egli fa la storia dell’incisione riproduttrice dei capolavori artistici in tutti i paesi, dalle origini ai tempi nostri. E noi gli facciamo fervido augurio che egli riesca a condurre a termine anche questa opera della sua penna valente, come nell’interesse degli studiosi, ci auguriamo che la voluminosa storia della sua famiglia, o, quanto meno, le biografie dei patrioti suoi parenti, scritte così egregiamente e con così prezioso corredo di carteggi e di notizie, trovino presto un illuminato editore.1
Il padre di Attilio, l’ing. Francesco, riammesso nell’impiego nel 1856, fu destinato a Camerino, donde passò a Pesaro, e quindi a Macerata come capo del Genio Civile; pensionato, fu assunto da Macerata quale direttore dell’Ufficio tecnico municipale (suo è il disegno della facciata del Convitto), e cessò di vivere vecchissimo nel maggio 1884, conservando fino all’ultimo la sua fede repubblicana. Vincenzo, infermato come dicemmo, di mente, ebbe dei miglioramenti fugaci, durante i quali dimorò in quella torre Albani di Senigallia, in cui da giovane aveva passato i giorni celato alle ricerche della polizia pontificia; ma ricaduto poscia irreparabilmente, fu rinchiuso nell’ospizio di Aversa, ove terminò di soffrire il 22 ottobre 1864. Il suo genitore avv. Andrea fu promosso consigliere d’appello in Ancona; ma addolorato prima pel processo intentato a Gio: Battista, e poi per la sventura di Vincenzo, non sopravvisse a quest’ultimo che pochi mesi, e morì di colera a Senigallia nel settembre del 1865. Gio: Battista, all’indomani della campagna nell’Agro romano gravemente ammalatosi a Napoli, morì il 27 gennaio 1868, e Giorgio Imbriani ne tessè le lodi sulla bara. Guglielmo infine, persona molto colta e dedita agli studi (di lui abbiamo il Primo Canto della Divina Comedia tradotto in Volapük. Torino,
- ↑ Ma stante lo scetticismo dell’egregio ingegnere Attilio, noi non nutriamo in proposito molte speranze. Alle nostre vive esortazioni egli rispondeva anche pochi giorni fa: «In quanto a me preferisco avere il manoscritto negli scaffali inedito, che vederlo disprezzato ed insudiciato sui banchi dei salumai. Io fido poco nella generazione presente e serbo i miei scrìtti alle venture generazioni se, chi succederà a me, li conserverà.» Oltre a queste due opere voluminose il Cattabeni trovasi ad avere inediti altri lavori che rivelano la sua molta erudizione e la sua paziente attività, tra cui uno, di più volumi, intitolato: Da Bologna ad Otranto.