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una torbida vertigine aveva offeso la mente e lo aveva reso vaneggiante (come ha scritto nelle sue memorie il cugino Attilio), giunse troppo tardi la notizia della propria libertà e della dichiarata innocenza del fratello.

Ancora un braccio doveva dare la progenie dei Cattabeni agli ultimi cimenti della patria. Dichiarata nel 1866 la guerra per la liberazione del Veneto, Guglielmo, l’unico figlio di Pietro Cattabeni (nato a Senigallia nel 1843) ascoltando la voce del dovere, accorse volontario nelle file garibaldine Guglielmo Cattabeni e militò lungo il Chiese nella Legione Nicotera. Un’invida sorte tolse a Gio: Battista di dare anch’egli il suo braccio nel momento decisivo a quella Venezia, per cui nel ’48-49 aveva pugnato da eroe. Il Garibaldi aveva a lui affidato in quella guerra il comando del 1° reggimento; ma avendo il colonnello Corte fatto eccezione per tanti suoi amici, Gio: Battista Cattabeni sdegnosamente si ritirò. Si trovò egli invece a militare ancora una volta fra i primi — valoroso consigliere inascoltato — l’anno appresso sotto il general Nicotera, nella colonna dell’ala sinistra dei volontari, operante da parte di Terracina e Velletri (Cavallotti e Maineri, Storia dell’insurrezione di Roma nel 1867. Milano, Lib. D. Alighieri 1869, pagg. 429, 434, 599-601), in quel triste autunno italico che diede Mentana e Villa Glori, eroico olocausto, il quale però, bagnando di sangue le zolle attorno alla città eterna, valse a propiziare il destino di Roma.

Di tutti questi generosi figli della famiglia Cattabeni, ora è solo superstite l’ing. Attilio, ispettore delle ferrovie a riposo, che vive in Ancona, affaticando gli ultimi anni della sua indomita fibra dietro un colossale, meraviglioso lavoro dal