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è caro ricordo —, amorosamente assistendolo in quei critici frangenti. Gli continuò poi ininterrottamente le sue cure premurose nell’incomodo tragitto fino a Scilla, dove fu tra i dieci ufficiali prescelti da Garibaldi per compagnia nel suo trasporto sul Duca di Genova per la Spezia.1 E ben si risovvenne di lui il Generale allorché si trovò a scrivere le Memorie autobiografiche. A pag. 405, accennando alle miserie, alle viltà e alle vergogne di quei giorni, egli così soggiunge: «Però in onore dell’umana famiglia devo confessare che anche i buoni vi furono, che ebber per me cura di madre, che mi custodirono con cure veramente amorevoli, filiali! E fra i primi io devo rammentare il mio Cencio Cattabeni, tolto prematuramente all’Italia.» E alla Virginia Cattabeni in Peruzzi, che verso l’80 si compiacque far sapere al Generale che possedeva la calza toltagli ad Aspromonte da suo fratello Vincenzo, egli scrisse la seguente lettera, che forma il più ambito elogio di quel valoroso:

Gentilissima Signora,

Sì — il vostro fratello Vincenzo mi fu angelo tutelare quando fui ferito ad Aspromonte. Più che compagno d’armi io lo tenevo fratello; e mi diè prova di esser tale in ogni circostanza.

La calzetta che egli stesso mi tolse è un ben povero ricordo.

Io serberò tutta la vita memoria delle cure amorose di quel mio e vostro caro.

Vi bacio la mano con affetto.

Vostro
G. Garibaldi


Povero Vincenzo! Con Corte, Guastalla, Nullo e Bruzzesi egli dalla Spezia fu accompagnato a Finestrelle ed ivi tutti furono rinchiusi; ma quella tormentosa prigionìa diede al Cattabeni eccitamenti strani, che i compagni dapprima credettero scatti di nervosismo, ma che invece erano sventuratamente sintomi morbosi. Il 5 ottobre ’62 venne data l’amnistia ai prigionieri e man mano essi furono scarcerati; ma al povero Vincenzo, cui

  1. In appendice riproduciamo una interessante lettera di Vincenzo al padre, scritta a bordo del Duca di Genova, dove veniva condotto prigioniero, in compagnia di Garibaldi.