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l’anima d’Italia per i destini futuri, la reazione, appoggiata alle armi straniere, infierì dovunque trionfante. E i Cattabeni furono naturalmente fra le prime vittime: Francesco in Urbino, per aver aderito alla Repubblica, fu destituito dall’ufficio di Ingegnere di acque e strade; Andrea, colpito da sentenza di esilio, riparò in Piemonte, dove, mercè l’amicizia del D’Azeglio, fu dal Governo sardo nominato professore di letteratura italiana nel liceo di Bonneville; Gio: Battista e Vincenzo esularono anch’essi, il primo in Australia e il secondo a Ginevra, peregrinando poi a Londra e a Parigi, e di qui nel ’58, in seguito all’attentato di Orsini, rifugiandosi in Olanda, ove ebbe la sorte di esser chiamato ad insegnar lingua italiana ai figli del re.

Tornarono quasi tutti nel campo dell’azione il giorno della riscossa.

Andrea Cattabeni, nominato nel 1860 dal Commissario Valerio presidente del Tribunale di Pesaro, fu suo collaboratore per l’ordinamento giudiziario delle Marche, insieme con Filippo Bonacci, presidente del Tribunale di Ancona e Celestino Giuliani, giudice del Tribunale d’appello di Macerata, i quali tre composero la Commissione a ciò istituita. (Finali, Le Marche: Ricordanze. Ancona, Morelli, 1897, pag. 122). Fu poi deputato per la provincia di Pesaro e Urbino per recare al Re a Napoli il plebiscito delle Marche per l’annessione.1 E nessuno meglio di Andrea Cattabeni poteva andare a fronte lieta ed altera nella capitale partenopea, perchè colà i suoi due figli «belli, pre-

  1. Finali, l. c. 192. A proposito di quella deputazione marchigiana il Finali a pag. 198 si fa a raccontare un episodio ameno, che avrebbe fornito al Sacchetti lo spunto per una delle sue novelle sui piacevoli uomini della Marca. In esso figura la nota spiritosa di Andrea Cattabeni. — La sera della cerimonia della presentazione del plebiscito delle Marche e dell’Umbria al re fu pranzo a Corte. «Finito di pranzare, il re, secondo il consueto, tenne circolo, rivolgendo affabile a ciascuno qualche domanda; ed era giunto nel suo giro davanti ai deputati delle Marche, quando il più giovane di essi osò invece farla lui, e chiedergli: Maestà, vorrei sapere una cosa; andremo prima a Venezia od a Roma? — Questo dipende, rispose secco il re; che saltati due o tre, mi chiese a bassa voce: chi è quell’imbecille? Risposi, non lo conosco. La mia risposta fu quella di San Pietro Il Cattabeni, uomo gioviale, uscendo dal palazzo diceva al malaccorto interlocutore: hai avuto una bella faccia, ma ti sei anche cavata la curiosità! «