loro vecchio genitore Giuseppe, che aveva visto con favore le passate rivoluzioni. Di lui infatti è parola nelle processure delle prime cospirazioni carboniche del 1816-17. Negli atti processuali per le trame di Macerata del 1820 si parla di un fratello di Francesco Cattabeni, di Senigallia, «cioè quello che ha viaggiato tanto» (certamente Cristoforo, il quale infatti da giovane viaggiò per la Dalmazia e l’Istria, esercitando la mercatura e il commercio in legnami con l’Inghilterra), ed è ricordato come Gran Maestro dei Carbonari.
Francesco Cattabeni
Francesco poi, impiegato a Roma nel corpo degli Ingegneri, si era portato nei mesi estivi di quell’anno a Macerata, e stava di là in corrispondenza con gli amici romani e col Gran Maestro carbonico di Forlì, che lo teneva a giorno del movimento patriottico, suscitatosi con speranze nuove anche nello Stato pontificio in seguito alla rivoluzione di Napoli. Le notizie egli poi comunicava man mano ai cospiratori di Macerata. Se non che, caduti questi in sospetto di trame alla vegliante polizia, e cominciati gli arresti, Francesco potè porsi in salvo, con infiniti stenti, nel territorio napoletano. E buon per lui, perchè uno degli arrestati, studente e suo amico, per imperdonabile debolezza rivelò i più gelosi segreti, fra cui la corrispondenza e le comunicazioni del Cattabeni. A Napoli Francesco, aggregato dal gen. Pepe nel corpo del Genio militare, cooperò alle fortificazioni difensive contro l’esercito austriaco invasore. Rimase poi occulto a Bittoli, protetto dall’ospitalità generosa della famiglia Silvestri, finché per un salvacondotto che la madre riusci a fargli ottenere per intercessione di influente sacerdote suo parente, potè venire a scagionarsi dinanzi all’autorità pontificia e