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natura, ma la venustate dilla pictura. Le petre nigerrime dil pariete erano intercise, et diligentemente rimesse una spectatissima compositione di illaqueatione, overo ligature di antiquarie foglie, et di fiori, di lucente Conchule Cytheriace, tanto ad gli ochii acceptissimo, quanto mai explanare valesse. Sopra la porta interstitio di petra Gallactite, vidi uno delphino repando tra le placide unde, et uno adolescente sopra sedeva et cum una lyra sonante. All’incontro sopra il geloeasto fonte simelmente un altro delphino natante cum Posidonio sopra aequitante, et cum la sua fusina acuminata. Queste historiette exacte erano da li contermini del medesimo saxo, et riportate in nigerrimo plano. Quivi meritamente laudai il praeclaro architecto, et non meno il statuario. Da l’altra parte extolleva la venusta dignitate dille formose et piacevole fanciulle. Imperoché io non sapea comparare tra il spavento praeterito, et tra questo inexcogitato et casuale solacio il suo excesso, ma senza dubio me ritrovai in extremo dilecto et piacere. Et quivi iocundissimamente intrati in tanta redolentia quale mai in Arabia potrebbese germinare. Sopra li lapidei sedili in loco di Apodytorio expoliantise, li sericii vestimenti exponevano, invilupate bellissime le bionde trece sotto le reticulate Vette di fili d’oro tesute, et innextrulate dignissime. Et senza rispecto alcuno la formosa et delicata persona tutta nudata liberamente videre, et peculiarmente cernere concedevano, la honestate riservata, carne senza fallo delicate rosee et di matura neve perfuse. Heu me il core agitato io el sentiva resultante aprirsene et di voluptica laetitia tuto occuparsi. Di che foelice alhora me existimai, solamente tante delicie speculando. Perché pertinacissimamente non poteva obstare ad gli ardentissimi incendii noxiamente insultanti nel infornaceo core molestantime. Et per questo alcuna fiata per mio megliore suffugio mirare non audeva tanto le incentrice bellecie cumulatissime in quegli divi corpusculi. Et esse animadvertendo rideano degli mei simpliculi gesti prehendendo puellare spasso. Et io per questo stava cum l’animo sincero et contento, per essergli im piacere et gratia. Et residendo in medio di tanto ardore, non mediocre patientia sustineva. Ma però cum tolerantia pudibondo et sufferente me stava, conoscendomi impare de sì bello et tale consortio. Et io ancora invitato, quantunque reluctando excusatome havendo, niente di manco intrai nel bagnio. Quale cornice tra candide columbine, per tale cagione io stava da parte erubescente, cum gli ochii inconstanti de cusì praestanti obiecti illecti scrutaticii. Et quivi Osfressia molto faceta facondula mi disse. Dimi giovane che nome è il tuo? Et io riverentemente li risposi. Poliphilo Hera. Piacemi assai mi disse si l’effecto al nome corresponde. Et senza inducie subiunse. Et come chiamase la tua chara amorosa? Io morigeratamente resposi Polia. Et ella dixe. Ohe io arbitrava che il tuo nome indicasse molto amante, ma quello che al praesente io sento, vole dire, Amico di Polia. E subito dixe. Si quivi sa