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tamente dava urgente opera di potere evadere il pertimescendo periculo et campare la contaminata breve et exigua vita, o per questa violentia sencia rimedio alcuno dolorosamente ispasmando morire, et senza hogi mai diferrire, che io non sapea confusissimo che me fare vagabondo, perfugo, et discolo per incerti lochi et devii diverticuli. Et debilitate hogi mai le gambe torpente et conquassata omni virtute corporale languescente, exanimo, et dil tutto cerito et quasi larvato.
Ad questo tamen lachrymoso passo conducto, supplicemente invocati (extremo confugio) gli superni et omnipotenti Dei, et il mio bono Geniale cum l’animo insonte, di me forsa in questo miserabile caso per sua perenne pietate fortunati cura haventi. Ecco che io incominciai a discoprire uno paulatino di lume. Al quale heu me cum quanta alacritate velocemente tendendo, i’ vidi una suspesa lampada aeternalmente dinanti ad una divota Ara ardente. La quale quanto potui in momento alhora discorrere era alta pedi cinque et per il duplo lata, cum tre aurei simulachri assidenti. Quivi frustrato dilla conditione dil lume, non sencia religioso horrore io fui incusso ad queste venerande tenebre, nelle quale poco si videa quantunque ardesse la illuminante lampade, perché dil aire grosso et malo il lume è nemico. Et sempre cum intente urechie né mai vacuo dil domestico spavento, ma alquanto appariano le nigrate statue, et d’antorno se offerivano gli vasti et incerti laxamenti et paurose Itione subterranei, overo submontanei substentati de qui et de lì et in lochi infiniti distributi molti maximi pili tetragoni et exagoni et in altri lochi octogone fulture apena cernendole per il debile lume, aptamente subiecte a pproportione di sofrire la excessiva vastitate dilla premente Pyramide superna. Quivi uno pauculo di mora orante, sencia inducie tendeva sopra omni cosa alla ignota fuga. Diqué cusì exanimo non più praesto oltra la sanctissima Ara correndo havea transacto, che ancora mi apparve uno modiculo di desiderato lume che subluceva quasi per uno subtilissimo spiraculo de infundibulo vedentise. O cum quanta festa et cum quanta laetitia dello exhilarante core il mirava. Et ad quello sencia altro pensiculare Hilaramente festinando. Per adventura cum maiore pernicitate di Canistio et di Philonide. Né più praesto cum tanta effrenata laetitia et concupiscentia io il vidi. Che il repudio alhora dilla ingrata et molesta vita, gratissima rivocai, successivamente reserenando la mia perturbata mente et fluctuante animo, et alquanto refecto et quasi reassicuratome, et il mio exinanito et di amore evacuato core alquanto revocato, da capo di ripululante amore vegetatose, et tutto completo, omni perduto et exulato pensiero alla pristina opera reaptava. Et hora più ad la mia amabile Polia infixo, me cum innovati intricamenti, più compressamente