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Ove fermamente tenia essere nella inextricabile fabrica dil sagace Daedalo pervenuto, overo di Porsena continente tanti inexplicabili occorsi et ricorsi cum frequente porte ad falire lo exito, et in quegli medemi errori ritornare, overo nella cubiculosa spelunca dil terrifico Cyclope, et nella tetra Caverna dil furace Caco. In tanto che quantunque gli ochii fusseron alquanto nella obscuritudine assuefacti niente di manco per niuno modo me misero valeva alcuna cosa cernere. Ma cum li brachii inanti protensi alla facia, per non arietare currendo in alcuno pilone andava, quelle degli mei tenebrati ochii lo officio facendo. Quale Cochlea del suo guberno gerula nelle sue mollicule cornule pretendando et resiliendo, et praetentando la via et ad gli obstaculi contrahendole. Et io il simigliante palpitando per non offendere in quegli maximi substentamenti della montagna et Pyramide. Et verso la porta volvendomi per mirare si il crudele et formidoloso dracone retro me venisse, la luce totalmente era expirata.

Me ritrovava dunque nelle caece viscere et devii meati dille umbrose caverne, et in maiore terrore et mortale erumne che Mercurio facendose Ibi, et Apolline in Threicia, et Diana in Chlomone avicula, et Pana in bina formatione, et in maiore di quelle di Oedipo, di Cyro, di Croeso, et di Perseo, et in maiore spavento et exitio, del ursato Thrasileo latrone, et in maiore angustie di Psyche et in più laboriosi periculi dil asinato Lucio. Et quando egli sentiva il consilio degli latroni dil suo interito, sencia alcuna consiliabile optione veramente ignaro et desperato. In quel puncto sopra tutte praenominate paure terrori et spaventi facto pavidissimo et anxio, accedeva ancora il volato frequente dille lucifuge noctue intorno al capo a geminare la timorosa angustia. Et tale fiata per il suo Cicire, sencia mora me credeva di essere tra gli puntuti denti dil venenoso Dracone, et tra le stringente fauce quale serra dentate firmamente detento, sencia differire succedeva sopra ad questo ad redoplicare, et il mio periculoso et grave terrore, et il mio cordolio verificare, in mente me venia il viduto lupo, si per aventura gli fusse stato pernicioso prodigio, et dil mio misero successo nuncio. In qua et in là errabondo discorrendo, quale frugilega formica che lo odore dil suo trito perde errante, cum le pervigile urechie di persentire si ad me doloroso se fusse advenuto lo horrendo monstro, cum il periculo di lerneo et valido veneno et la horribile framea et foedissimo devoramento. Et però omni cosa che mi se offeriva in quello primo accessorio quello proprio ad essere io sospectava.

Et quivi ritrovantime nudo et privo di omni suffugio in tanta mortale angustia et dissoluto dolore, benché naturalmente la odibile morte non sia per modo alcuno grata, ma pur in questa hora gratiosa la istimava. La