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sa et obturata, et il robusto Tauro sopra il non cognosciuto coito lasciviante. Et poscia il Minotauro di monstrosa effigie, nel laborioso et devio labyrintho incluso, et incarcerato. Postremamente il sagace Daedalo fugibondo dal carceroso claustro ingeniosamente ad sé et ad Icaro le Ale fabricante. Il quale infelice non imitante il paterno iussu et vestigio, nel amplo pelago praecipite cadendo, alle aque Icaree moriente il suo nome dede, poscia il patre incolume reservatose, nel templo di Apolline la remigale machina di penne compaginata suspendendo per religioso voto promesso.
Acadette che io cum gli labri aperti intensissimamente remirava (le instabile et praestissime palpebre non moventise) cum l’animo rapto solamente attendando alle bellissime, et cusì bene disposite, et perfectamente ordinate, et artificiosamente depicte, et elegantemente expresse historie, relicte da qualunque ruptura inviolate, tanto tenace fue il rapace glutino che gli vitrei thessellati, suppressi paginatamente, et perpetuo cohaerenti constavano, fina a questa hora illaesi, et niuno dilla sua locatura remoto. Imperoché il praestante artifice ad questa excellente factura omni absoluta diligentia havea collecta. Et quivi pode enanti pede transportantime pertinacemente examinando cum quanta directione di arte picturaria observato havesse, di collocare cum pensiculata distributione le promptissime figure sopra gli iusti piani. Et come le linee dille fabriche allo obiecto trahevano. Et come dagli ochii alcuni lochi quasi se perdevano. Et le cose imperfecte reducte a poco a poco al perfecto, et cusì per contra, il suo iudicio ad gli ochii concedendo. Cum gli exquisiti parergi. Aque, fonti, monti, colli, boscheti, animali. Dipravato il coloramento cum la distantia, et cum il lume opposito, et cum gli concinni reflexi nelle plicature dille vestimente et nelle altre operature, non cum poca aemulatione dilla solerte natura. Intanto mirabondo et absorto che in me quasi non era praesente.
Per questo modo all’ultimo dil adito era pervenuto, ove terminavano le gratiose historie, perché oltra poscia era densissimo obscuro che non audeva intrare. Ma volvendome diciò al retrogresso. Ecco sencia pausamine sentiva per le abrupte ruine come uno fragore di ossa et di crepitante frasche. Io steti, repente interrupto et exciso il mio tanto dolce solacio. Et da poscia ancora più palesemente sentiva quasi uno trahere quale di grande bove morto, per il loco verucoso et per le aggerate ruine inaequale, sempre cum più propinquo et consono strepito inverso la porta venendo, et uditi uno grandissimo sibilare di excessivo serpe. Me obstupivi. Et interdicta la voce solevati gli capigli, non per fugire me assicurava, et in quello tenebrifico scuro improperare.
O me infoelice et di fortuna tristo. Ecco di subito io vedo apertamente al lime dilla porta giungere, non quale ad Androdo il claudicante leone nel antro. Ma uno spaventevole et horrendo Dracone, le trisulche et tremu-