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opere stupefacta, et resucato il fluxo delle solicite lachryme, et auscultati benignamente gli mei miserandi lamenti. La Divina Domina Matre, cum una ineffabile maiestate, et sanctimonia, et cum una inaudita et veneranda voce demulcente, da reserenare gli anebulati coeli, da tuore la nocevola armatura al Enyalio Marte, et gli fulmini di mane dil iaculante Iove, da iniuvenire il vetere Saturno, da Aethiopicare il bellissimo Phoebo, da inbalbutire il facondo Cyllenio. Et da stuprare la casta Diana. Dagli terrestri unquam audita tale, proferitte divine parole, cum divino afflato et cum tale Harmonia afabilmente, quale mai alla vacua Syringa coniuncti gli divi labri del talaricato Mercurio allo oculato Argo non perflarono per la cui suavitate, qualunque Cotico saxo di Libya, immo qualunque indico Adamante contaminato et immutato se sarebbe ad omni teneritudine molliculo et freso. Et per questo modo parlando fecime secura della mia salute, et del mio prospero amore, et de questo mio quamiocundissimo postliminio, et ad te redire. Et cum lepidissimo risulo disse al suo genito. Et tu per la vulnerata Virgine puella, si forsa tergaversare da questo amoroso officio, et relinquere praetemptasse questa praesente alma, sarai vadimonio tu. Dunque corpusculo mio, diversorio mio, removi da te tutti gli asperrimi dolori, et omni passione, et acceptame cusì integra in te, como unque teco coiuncta fui. Cum quello celeberrimo nome, in me impresso, per il quale da te recessi, il quale altramente è excalpto et impresso, et sigillato intra me vegetabile et foecondo, non fue quello di Oenone et di Paride sculpto nelle ramose arbore et rugose scorce, né d’indi mai sarae abraso, né delendo, ma eternalmente obsignato conservabile. Hora hospite amantissimo ricevi me indigena tua, la quale per remediare alle tue grave et insupportabile tribulatione, ho penetrato et passato per tante aque di pianti, et per tanto foco d’amore, et per tante supreme fatiche. Et finalmente suvhecta dove non possono essere gli tui simiglianti, et ho adepta tanta benignitate divina, che io d’indi tempestivamente sequestra, porto la tua valentissima et integerrima salute. Et io al mio reverso et adunato Genio risposi. Veni indigena incola et Domina della suprema arce della mente mia, optima portione rationale. Veni cor mio, domicilio di excandescentia irritabile. Veni extrema parte ove fae residentia il mio adhortatore Cupidine, et faciamo dunque le festegiante Soterie, per la tua retrogressa reformatione.