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penosi fleti, et soluti suspiri, sedulo di ridure il rigido pecto, et aptamente amollire et allentarlo, quale tenera virgula et vinco, la quale unque tanto fragile et arefacta se praesta, che ancora per latice, et cum foculo, et modulo, non se contorqui, et fia strophia all’altre. Ma questa, quantunque che il fragile et molliculo sexo suo sia flexile, et di amore uribile, niente dimanco, né cum il mio succenso amore, né cum abondante lachryme, che tanto anxiosamente non pianse per il caro Osiri, la afflicta Iside, né cum blandiente modo, né infocare, né mollificare, né provocare valeva al dolce amplexo del mio cordialissimo amore. Non si poteva pervertire né non si mutava per niuno modo, offerendogli puramente il più sincero et di omni altro amore examurcato core, et praenitido affecto, non fue quello il quale dimonstroe Tiberio Graccho alla sua dilectissima coniuge Cornelia, credulo al prodigio degli dui serpi. Et magiore di quello di Alceste regina, per il carissimo marito, volse subire all’ultronea morte. Et più sencia comparatione, non fue lo amore, che dimonstroe quella, che per il marito fleto et declamato al ardente rogo, deglutire volse gli carboni accensi et cum magiore dill’amantissima Panthia al suo consorte. Et cum più amicabile dilectione di Pylade verso il suo Oreste. Hora all’ultimo tractabile volendo disponere, et conducere, perseverava il suo silvestrico et ferino core et mansuefare, et domesticarlo a qualche humanitate et dulcitudine. Il quale se induritava persistente incontaminato indomito, immoto, et crudamente lapidescente. Non altramente ignaro di mansuetudine, et exempto di pietate, si essa nata fusse in Hyrcania, overo nella silva de Ida di tenebre obstrusa, tra le ruvide et torose querce, et validi roburi. Overo nel monte Ismaro, overo tra li Anthropophagi oriunda. Et tra le horrende furie di Cyclope, et nella intercavata spelunca di Caco alumna, et tra le Sirte. Per la quale immanitate constantemente io perseverabondo nelle cruciose exasperatione, et non simulata doglia et moerore, novamente et più noxii principiorono gli rauci suspiri nel mio flammido pecto, più che ’l mugire d’uno famescente, overo febrescente Leone, in sonoro et latebroso Antro, overo speco. Ricogitando invano omni mia fatica perfuncta, per la pertinacia sua probamente pensiculando, che imperforato dolio exhaurire non si pole, quasi diffiso et desperato di tanto arduo incepto, et negli piangenti ochii cum frequente scaturigine, infinite lachryme cumulando, più dolorosamente che la cruciata Myrrha nel duro cortice praestillante. Onde più del iusto improbamente sencia modo, oltra il principio et vegetamento di questa mia affectuosa et invalentia aegritudine, me ritrovava nel stato, cum multiplicato incremento, et congeminato augmento del mio indesinente