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sagittule del bindato Cupidine. Al quale illece sencia indugio disponentime humilmente acceptai, et tutto me indefesso dedicai observatore delle sue turbulentissime, argute, indagatrice, discole, et effrenate legule, freto della fiducia del angelico aspecto suo, et che tale fusse ancora il suo core, et che la parte cum il tutto convenisse, et il tutto emusicato accedesse alla parte, et non cum disperata harmonia tanto bello, tanto elegante, tanto venusto et mirabile, et divo composito. Sperando ragionevolmente che il sagittario Cupidine, che cusì cruciabilmente vulnerato il tristo core intimamente mi havea, fusse iuridicamente, et al mio inverso amore et pernitioso, tutissimo praesidio, et agli caechi errori incursanti affabile et remediabile propulsore, et in soccorso propero et pio, et al superfluo uredine et ardore congruo temperamento, non d’aliunde però expectando salutare adiuto che da lui. Che ello parilemente trahesse in ella il duro et crudele arco, cum il quale in me diramente hae tracto. Et nel core mio tanto noxio strale sencia rigresso iniecto, vulnerato havea. Et tractando la patora piaga, più la exacerbava in asperitudine, et più congeminava il vulnifico et mortale dolore, ma la sperancia di risarcire l’ampliato vulnere, sempre havendo in ello non haesitante fiducia, che essendo io suo votissimo subiecto et servulo, et sua opulenta praeda, mancipio, captivo, manubio, et spolio, et suo copioso Trophaeo, quel medesimo medicabulo che la pientissima sua Matre et mia Domina, fece al Vulnerato Aenea, ancora et mi sequente la materna pietate adiuterà. Et ancora essendo suo deditissimo, quel medesimo patrocinio praestasse, che la Sancta Vesta alla sua ancilla, et subdita Tucia porrexe benignamente, per il miraculo del cribro, occultata la perpetrata culpa, liberoe dal publico probro, et infame supplicio. Onde cusì como agli amanti sole multipharia advenire, cusì disperato in grave litigio, sencia iudice et parte adversa, io condemnava ambidui al mio exitiale damno coniurati, cum queruli lamenti piangendo incusantili per rei, et exquisiti inimici di omni pia humanitate, hora laetabondo et festivo, rivocava in me la sententia. Alcuna fiata excitato, quale rabido et impatiente cane, mordico della sua retinente cathena, voleva vitare et fugire il duro nodulo del amoroso, ma molesto, laqueo, et disloricarme. Poscia vanamente imaginando fingeva molti et delectevoli solatii et piaceri, false vindicte, temerarii insulti, turbativi periculi, et impavida morte, me ritrovava poscia più strictamente innodato, et solidamente loricato. Per tale altercatione et abortivi appetiti, consumando la mia tribulosa vita, et tra suspiri et amari singulti semiconsumpta, non restato loco che da me cum solicitudine, cura perenne et scrutaria vigilantia non fusse indagato, et perlustrato, rimato, et repetito. Niuna via et angiporto, et quasi ancora per le androne intentata obmissa,