Pagina:Hypnerotomachia Poliphili.djvu/449

complacendoti, quello che amando impremeditatamente achade il più delle fiate, cui intensamente ama. Nel praesente volendo suadere in quelli essere opportuna et utile la perseverantia, intenderai che questa alle mie praedicte epistole, non altramente se movette, né flexe, che il monte Olympo, dagli soluti et effrenati venti se quassa. Ma per tutto ciò, non lassando che io non poteva il cominciato Agone, io li mandai ancora et la tertia epistola, facendo diligente scrutinio, che ella nell’animo suo teniva, overo si il suo core fusse petra cotica, overo di humana materie congesto, tutta via il pervigile Amore assiduamente stimolando, et solo illito et inuncto lo insolente appetito di blandiente speranza. Tale tenore li scripsi. Più praesto la lingua mia io consumerei ingenua et Nobilissima adolescentula, che unque valesse alquantulo sopra il candido papyro exprimere, quanto faticosa, quanto grave, quanto acerba sia la mia amara poena, che dì et nocte nel languescente core congeminata accresce sencia intermissione, vedendote cusì sorda et displicibile. Et solo perché cognosco etiam te non essere contenta, et saturata ancora degli mei gravi tormenti, non minori unoquantulo, immo excessivamente maiori, di quelli, che io non molto di tempo dui fiate hoti dolcemente scripto. Ma poscia che il fallace, lo inforciato, il saevo, et dolorifico Amore, cum l’impia fortuna et la mia adversatrice stella, necessariamente me constringono ad te ultroneo ancillare et servire, Nympha sopra lo humano capto di miranda bellecia, et di conspicuo et elegante filamento spectatissima. Ma sopra tutto et qualunque altra auso dire, excessivamente spietata et crudele, quale una silvatica et indomita fera, più che lo immanissimo et famelico Leone di Androdo, rigida et displicibile. Le quale cose, il seminio humano mentiscono, et quel tuo mansueto et divo simulachro del tuo venusto aspecto praenitente, et di quella coelica et rara factura denigrante. Di humanitate nuda, et ribellante ad gli amorosi foculi di Cytherea, et al divino Imperio della Solerte natura spretora. Diciò iuridica cagione, et odiosa experientia me prolectante asportano, di dovere dire di tanto tempo appretiabile vanamente consumpto, et cum summa celeritudine volatico fugito, senza modo affectandote, et dì et nocte a quello colloricato, detento, et occupato, et inutile habi deperdito, inflammato et arefacto, amandote, sola electa ad destrugere la mia vita, per quello che io manifesto vedo. Che quanto più te amo, tanto più mi pare che io te indurando lapidisco. Ah Polia pole essere che in te non si trovarebbe uno atomo di pietoso spirito, che tantula gratiosa auditione, cum internuntie epistolette possi trovare in te, né cum praestrepenti sospiri, né cum affluente et sepiculate lachrymule, dagli madidi ochii mei vaporabile, solicite, irrorante, gli quali omni hora piangono E iii