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di novello virore revistita, et qualunque animale leto all’opera della effetrice natura intento. Perveni al sacro Tempio della casta Diana, giamai questa, più non sperando di rivedere. Nel quale essa, et molte altre puelle nobile et praestante, festevole, cum solemni riti, et celebri officii, in quello almo dì Hymnete celebrarono. Et quale il ligno già una fiata stato nel foco, poscia reponentilo più repente se reaccende, che non faria quello che unque fiamma sentite. Como il ritornare sopra la impromptitura la sua forma. Non altramente di essa avidutome, quietamente inspectantila, et recensita tra tutte quelle (Quale una Dea tra le sue Nymphe eminente) più praestante, et più decoratissima di venustissime bellece (multiplicate da grande disio) più ornata et elegante ad me manifestamente se offeritte l’angelica sua forma. Cum gli ochii più belli et lucidi che ’l chiaro Sole rutilanti. Per gli quali tutto il loco corruscava, cum l’altre singulare virtute agminatamente stipata. Diqué di suavissimo ardore excitato, reiterai da capo a pedi et per tutto stupido reaffocarme incandescente. Et allhora le provocate fiamme, et gli amorosi lampi, dalla sua serena fronte et placido vulto, et della novitate della admiranda bellitudine procedere cognovi. Et cusì come Pandora Cerere, prima nelle fertile terre, dal unco vomere subvertite, le arendevole frugie disseminoe, et Mellisso Re degli Cretensi, primo agli summi Dii religiosamente sacrificoe. Cusì io primo ad essa votai et offeritti l’alma et il core mio. Et cusì prima essa nel tenero core seminoe, dalle pongiente sagitte arato, gli amorosi incendii, più noxio et mortale semento, che non sparse Iasone, et pegiore Annona. Subitamente io proclivulo alla praesta, et repente rapina, più tenerrimo, che al foco ardente l’albente et liquabile cera, disposita poi recevere le impresse imagine. Onde per diutino et continuato ardore, il core mio evaso flagrante fornacula, nella mia mente disposi essa aeternalmente amare, como excessivamente amo. La venusta et honesta praesentia, della quale auxiliabonda, et optimo et coeleste irroramento, et remediabile sublevamento, al mio arsibile, et fragile core istimava, et salutare refugio. Dummentre cum scrutario et applicato risguardo, mirava indefesso il Divo operamento, cum gli ochii al delicato, et elegante volto sempre inhaerenti. Ove Cupidine Alumno in me gli crebri fulmini iaculante solicita. L’aspecto del quale volto, più ornato apparendo, che l’amplissimo coelo, perspicuo liquido, sereno, et purgatissimo aere intersito existente, di lucidissime stelle ornatissimo si vidde. Nel quale due delle più lucente illustravano converse in dui festivoli ochii praefulgente. Et da dui tenuissimi, et arquati cilii soprastanti nigerrimi decorati. Negli quali tantulo