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questo, quanto cum acritate d’ingegno posso coniecturare, gli caldi et stelliferi coeli, la spatiosa et frugigera et altrice terra, et il mare undisono, il potente figlio della Divina Venere, cum Dominio strenuamente possede, penetrabile ovunque vole, sencia obstante contrapositione. Né credo che clavata toraca, né trilicata Lorica, né chalybicea galea, né munimento Scutaceo, quantunque fatale si fusseron, potrebbe resistere, né respuere né contra durare, al fulgurante impeto del suo sagittante et Ithyreo arco. Et in qualunque aspero et torvo Core, quantunque rigido, quantunque reluctante, quantunque fugacissimo et pertinace, et quantunque di asperitate imbricato, et quantunque di dominio illato, che gli sui celeri et pungenti strali non perfodino. Dubitarei dunque che cum tale malefice sagitte irato (contra tanta mollicia di animo) intemperatissimo bacchabondo, et contra me di omni tutamento inerme, non tirasse, et poscia mai per piangere, né per sospiranti gemiti essere flexibile. Quale allo elegante giovane inexorabilmente displicibile ad Echo Nympha, sopra il gelido fonte, in purpureo fiore, ne fece crudele vindicta. Né Syringa displicivola et rusticula si a Pana amorosa havesse consentita, forsa ad ello non sarebbe stata gratioso instrumento. Laonde ancora non essentime mansuefacta negli sui officii, si non di persentire uno morsicante appetito di questo Poliphilo. Donna pientissima, subitamente principiai, poscia che agli ochii mei pietosi, la smarita praesentia di colore faciale obliterato, et tutto moesto se offeritte. Et alle vigilantissime orechie mie, gli lepidissimi parlari, et dolci lamenti perveneron, perfusa di amoroso ardore, ho ischiantato il core mio per medio. Non altramente loeta et gratiosa ad esso, et placivola rendentime, che Atalanta ad Hippomane. Et la piacevola Regina di Carthagine all’aventicio figlio di Anchise. Et il feroce Leone ad Androdo captivo dilacerando. Dunque ritorna alacre et festevole et iocundissimo Poliphilo mio gaudio mio, loetitia mia, solatio mio, sperancia mia, Confugella mia, et amore mio ardentissimo, che tanto per l’avenire, di me prenderai dilecto praecipuo, et solatioso contento sentirai, che gli tui praeteriti cruciati, et erumne retrograde dementicarai. Gli quali modo per mie blandimenti et agevolecie sarano dispersi. Né più, né meno che gli nebioni nasciuti et concreti da pantanosa terra, per l’aire, dagli sforcevoli venti se risolvano. Et como minuto pulvere per l’aire volabondo si evanesce. Et hora tolle questo amoroso basio (cum assuetudine virginale amplexantime) per arra del mio infiammato core, et di excessivo amore concepto, et ello me perstrinse, et io cum la purpurissima buccula rotundula, et cohumidula,