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cum omni solemne et ratificata fide et firmatissima lialtade. Ho me disposta teco del tutto amorosamente vivere. Et di non essere per niente condemnata nel sancto collegio degli incoronati amatori. Nel conspecto della Divina Matre, et del volante Dio suo individuo figlio di obstinata immanitate. La ira del quale me spaventa, conciosia cosa che ello di quella mi habbi parte ominosamente monstrato minitante. Ma tu che cusì festivo et perpete alle furiose facole, et a questo angarioso pondo di esso enorme Cupidine perpetuo mancipio succumbere volesti. Et tanti iniusti agitamenti, et penosi vulneri, per me intimamente tolerato hai. Extimo aequissimamente che ancora per me versa vice et realmente adimpii il gratioso et emerito volere tuo, et l’ardente disio satisfacendo refrigerare. Et della mia illibata et florida persona licente prehendi dilecto copiosamente. Onde Poliphilo animula mia dulcicula, et amorosula, unico praesidio mio, et Bulla triumphale del pecto mio, et Asylo tutissimo, ove securamente confugio, nel praesente impulsa dallo insolente et impulsore Cupidine. Thesoro mio sopra tutti gli gioielli del mondo appretiatissimo. Non più praesto quivi circumspectatrice te viddi, te cupidamente mirai, che fracta et spreta qualunque duritudine, et exclusa omni contradictione, disposime, cum mie piacevole voce respondere, et placidamente al tuo pretioso amore, cum tutto l’animo, cum tutto il core, cum tutto il potere mio benignamente assentire. Il perché già nello intrinsico degli praecordii, anci nella basi della vita mia, et di l’alma arsa et perusta ineritamente ad uno et l’altro voglio opportunamente remediare. Dubitando sanamente, che la inexorabile crudelitate ad quelle vidute fanciulle usata, monstruosamente monentime, in me per niuna cagione più se ritrovase. Lympidissimamente coniectando, che Eurydice Rodopea non sarebbe stata dalla venenosa vipera mordicata, né poscia per quello sopra le treiuge da Plutone all’infere et tartarine sedie, et alto Barathro devehecta. Si essa ad Aristeo placivola se havesse praestata. Né Daphne per il simigliante figlia di Peneo di Thessalia, non se harebbe vanamente pentita delle verdigiante fronde, Phoebo non praestolante, si ad gli novissimi exorati se havesse monstrata agevola. Nec etiam Heperie parimente dal tortuoso serpe harebbe provato la mortale dentatura, si essa ad Esaco benigna stata se fusse. Et Arethusa Nympha lavantise nelle onde Alphee, non mutati harebbe gli virginali membri in fluente aquule nel suo subterraneo alveolo, si ad Alpheo mansueta se havesse demonstrata. Et Pico per contale risistentia, et fugella, non induto di ventilabonde plumule se harebbe, si a Cyrce consentaneo se havesse reddito. Per queste tale fugacitate molti hano experto, che cosa è agli grati amori essere fugaculo et renuente. Et oltra D iii