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ACCUSATOSE POLIA DINANTI ALLA TEMPLARIA DELLA TRANSACTA IMPIETATE. ET CHE AL PRESENTE TUTA ERA DI ARDENTE AMORE SUFFUSA, DIMONSTRANDO POLIPHILO ASTANTE. LA RELIGIOSA MATRONA CHIAMATOLO AD SÉ. IL QUALE SUPPLICANDO STABILIMENTO DI AMBIDUI IN UNO RATO PROPOSITO. POLIA DA IMPATIENTE AMORE IN SÉ INFORTITO INTERUMPETTE LA RISPOSTA.
ARENDO SEDULO SENCIA MORAMENto alla venerabile Sacerdote Poliphilo, expeditamente, et cum divote inclinatione se apresentovi costì essendo, et io cum affectuosi et tonitruali sospiri, gli quali nel testudinato Tempio sonanti, ecco alle nostre latebrose orechie gli rimandava emula. Et cum gli ochii solo in esso defixi. Alhora nuda et svilupata di ogni freda duritudine, ma mitissima et mansueta et praestabile gli patefeci il patore hiato del mio succenso core. Et digli sui illici et festevoli et intenti ochii imprecar me saepissime fato domicilio et delicioso diversorio. Et io como desiderosa, cortesemente il feci solo di quello digno et emerito Signore, adiuncto et inseme a possedere tuta la vita mia, et me stessa a che ello volesse arbitrariamente. Il quale ad me tanto allhora più grato praestavase, quanto più per avanti exoso et displicibile il teniva, più gratioso et efficacissimo rimedio al mio ardente amore offerentise opportunamente, et molto più salutare, non appariscono ad gli naviganti lo aestuoso mare cum il coelo pluvio le lucide stelle di Castore et il fratello Gemini dalla parte dextra di Auriga sopra Orione collocate, et ancora gli optati et sicuri porti.
Onde nell’ultimo grado d’amore vulnerata, mirava ello immobilmente tuore, cum gratioso intuito, et questo era una dolce congerie et cumulo di invasivo foco nel pecto mio. Et l’animo mio perciò da ogni altra sollicitudine excluso. Solo esso gli piaceva, solo esso gratissimo lo optava. Solo esso solacio se offeriva. Et ad gli mei insaciabili et desiderosi risguardi obiecto delectabile, dalla vacatione del quale impatiente, et di aviditate stimulata, et da immodesto appetito impulsa, et da ssì amorosi oblectamenti capta et possessa, che quasi externata et in extasi immobile il mirava diqué già oltra modo effrenati essendo gli ochii mei. Et perché io sentiva et experiva, che cosa era il novello amore, io miserata ragionevolmente a quegli gli perdonava la sua scrutaria importunitate. Ma Poliphilo che