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sfortunato Polydoro ad Enea Pio. Et cum magiore angonia, che Andromeda allo littore trovantime, et cum magiore terriculamento di Aristomene vedendo Panthia et Meroe testudinato. Incontinente in me extente le malefice et nervicose bracce, sacrilege et prophane, cum le mane sanguinarie et spurche, et pollute et perlite, per gli mei biondi capelli dihonestando ringibondi decapillandome, incominciorono impiamente trahere, senza alcuna clementia, che unquantulo in essi non era proma. Più spavento et terrore mi misseron, che alla casta Lucretia Sexto Tarquinio cum la evaginata spatha in mano la opprobriosa morte minitante. Laonde senza spirito, oltra il credere isbigotita, ad un'hora meraviglia et timore me incusseno gli diri et sanguinarii homini. In tanto che evacuata et exinanita ciascuna vena, al doloroso et moerente core concorse. Più timida effecta d'una dammula, et più pavida che il aurito et timoroso lepore, tra gli densi arbusculi, et ioncosi cespiti latitante, ode circum sé intorniato gli latrati degli saevienti et feri cani. Per la quale cosa senza mora dirottamente principiai ad alto vahu di piangere, et decapillata da quelli o me o me a cridare. Et volendo resistere al incendioso tiramento, io quanto valeva, le bracce sue aprehense ralentando, me sforciava, et cum le laese et tutte debilitate forcie adnixa di mitigare, il violento trahere degli furibondi homini. Più duri di Scyrone figlio di Neptuno, et più asperi di Phineo et di Polydecte Seriphio. Et per niuna prece et supplicamento volevano cessare, ma intendevano diciò trarmi del mio già madente lecto. Ma o me o me per Dio mercede et soccorso chiamando et suppetie, et cum gli nudi pedi et cum ambe due le mano renitente. Et elli più violentarii, rabiosamente adirati minabondi, offendando lo olfato mio, cum grande dispiacere, d'uno evomico putore, che movendose exhalava dalla Illuvie delle sue rancidule et putulente carne extrario et insupportabile, che Nauseoso evaporava cum odibile aspecto, cum la striata fronte feralemente terriculantime. A l'ultimo durando angustiosa et di moerore afflicta, in questo longo contrasto et altercamento affannata, et in amari pianti fortemente perturbata et exanime. Et forsa agitantime, et vertentime per lo incontaminato stratulo mio, tanto che la mia piatosa Nutrice che soporosamente dormiva, sentite per aventura le mie somnulente moventie, et mal intesi fringultiamenti, se excitoe, et expergefacta, et me excitoe dal furiale somno et inquiete nocturna, senza morula, me nelle ulne sue amplexoe, dimoventime del mio assido, et excitantime Polia figlia mia bellatula, Polia mia carissima animula, Polia vita mia et sanguiculo mio dicendo, che cose sono queste che tu senti? Subito amoto dagli