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qualunche animale, il dolce et soporigero quiescere optava. Cum per tale simigliancia havendo io tutto quel spaventevole dì in gravissime pene consumato, et di sospiranti plorati tutto dispensatolo. Summamente affligendome, che fatale cagione poteva essere, che cusì insolita et dissueta, et impia immanitate, alle issagurate fanciulle fare vedesse. Et oltra questo, cum quale repente modo dal mio infugato camino fusse impedita, et per l’aire riportata. Tute queste cose, cum sollicitati et sospirulanti singulti distrectamente considerando heumè afflicta, o Nymphe foelicissime audite. Si non angossa et pianti et ancipite et doloroso vivere per l’avenire portento mi fusse, et fatale decreto arbitrava. Et obstupefacta per questo da stimulante timore intendeva, et per varii et turbidi cogitamini coniecturare. Non poteva per niuna via investigare la occulta causa. Conscia di ciò tacitamente tuto quel infoelice et nephasto dì ingemiscente fastidiosamente consumantilo el passai. Nel quale più presto i’ vorei havere trovato il pallido Corydone, che essere imbattuta a tante invisitate tristitie. Et quivi circundata da acerbi doloramenti, et copiosamente da molestissime poene oppressa, trafugata da me securitate qualunque, et non ausa per le nocturne fallacie sola dormire, et per la obscura et ambrosia nocte, meco chiamai la cara et reverita (in loco di parente) la Nutrice mia, nella quale deposita riposava, et collocato havea ogni mia fiducia et sperancia. Perché sola io per il passato, cum la mia Dea Diana pudica stata era. Hora ambe due essendo adventata l’hora, che la candicante Cynthia havesse relicto gli Lamii Scopuli, et le condense silve, et posto fine alle solacevole venatione, finalmente (occluso et obsepto il thalamo) ivissemo insieme alla nocturna quiescentia. Et quivi il pulsatile pecto, che ancora cum inquieti battimenti sepicule batteva, a pena in sé adunati gli spaventati et smariti spirituli. Et cum supreme fatiche et conati, rachiuso il largo corso delle rotonde et guttante lachryme alquantulo interdicto. Incominciai malamente et cum difficultate (sepicule da spaventosi interumpamini expergefacta) di dormire. Et nel summo et primo soporoso et molle somno demersa il laxato et conquassato corpusculo, perfuso dormiva nella tacita nocte. Ecco cum grande et strepente impeto ad me parve (quale si supposita al capo si fusse Eumete petra) di essere dimoti gli pessuli, et rapiti gli obiici, et da perfossori fracte le sere, et violentemente patefacti gli occlusi hostioli, et obserati limini della camera mia. Et intrare